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mercoledì 28 marzo 2012

Москва

è una tradizione che in tempo di viaggio questo blog diventi un po' la mia casa mobile a cui affidare tutti i souvenir immateriali collezionati nei vagabondaggi. questa volta è il turno di mosca, e si tratta di un turno particolarmente rigido e provante: le piante fiorite in italia si possono vedere solo nei grandi magazzini ГУМ sottoforma di fittizio arredo pseudoprimaverile in plastica e tessuto che rallegra il cuore pur non scaldandolo tra una boutique di alberta ferretti e una pasticceria italiana per ricchi. 
incredibile come la storia del novecento sia più volte passata da qui, e come, nonostante la dittatura, rimanga ancora moltissimo del comunismo più comunista che ci si può immaginare, a partire innanzitutto dal vuoto onnipresente che fa a pugni con la decorazione, la ricchezza, l'estro della creatività russa. vuoto di idee, vuoto di memoria, vuoto di chiese e di edifici antichi, vuoto di alberghi-caserme che lasciano una voragine. vuoto che è una presenza poco indiscreta, vuoto che è un'assenza ingombrante.
il vuoto nella piazza rossa, che vuol dire innanzitutto piazza bella, sembra meno vuoto perchè intorno ci sono meravigliosi edifici, palazzi, porte, chiese, che hanno segnato la storia della russia e non solo di mosca. il pieno è fatto delle persone, di questi russi che hanno proprio la faccia da russi, gli abiti da russi, i modi da russi. i russi con il colbacco in pelliccia, le russe con la pelliccia col tacco, i foulard intorno alla testa a coprire le pettinature anni ottanta, come se dai tempi di lenin non fossero passati i tempi e la metropolitana lucida, marmorea, curata, con l'inevitabile imperfezione o trasandate nella perfetta trascuratezza. un po' est, un po' ovest, come il megastore di giocattoli di marca (da hello kitty a lego, da mio minipony ai peluches trudy) dirimpettaio del supermercato con gli scaffali mezzi vuoti, in cui i prodotti non bastano a esaurire lo spazio e il senso di carestia mai sopito di chi non ha potuto possedere, comprare, guadagnare per decenni. 

giovedì 9 febbraio 2012

spose di altri secoli

da piccola dicevo che mi sarei sposata in pantaloni, e non ricordo quando ho cambiato idea a tale proposito. devo aver pensato per un po' - ma non per molto - che non mi sarei mai sposata, probabilmente intorno alla crisi adolescenziale in cui ero brutta, grassa e secchia: un trinomio da mandare in crisi anche la più solida ragazza. quando però mi è capitato di innamorarmi, solitamente di persone che non facevano parte della cerchia di amici del mio paesello ma abitavano almeno a più di 100 km di distanza, devo aver ripreso ad immaginare il mio matrimonio, anche se non saprei dire se con gonna o pantaloni. forse non era la cerimonia in sè ad attirarmi, quanto la possibilità di avere qualcuno tutto mio a cui telefonare spendendo paghette settimanali in schede da cinquemila lire oppure mandare lettere cartacee lunghe pagine e pagine di struggimenti.  sta di fatto che, quando mi sono innamorata dell'hippie californiano intorno ai diciannove - venti anni, ero certa che nonostante l'oceano atlantico che ci separava lo avrei sposato. il matrimonio sarebbe stato su una spiaggia con i piedi nudi nella sabbia e un baldacchino intrecciato di fiori, mentre una brezza spirava al tramonto e tutti applaudivano commossi sulle note di una chitarra acustica come nella scena più kitsch di una commedia romantica anni '90. il vestito immaginario ovviamente era provvisto di gonna lunga un po' pizzosa perchè, anche se adoravo i pantaloni a zampa, erano un capo di vestiario ancora piuttosto introvabile a quel tempo, che non possedevo e non sapevo neanche dove andare a comprare (maledetti anni '90!). naturalmente avrei portato fiori nei capelli: del resto, if you go to san francisco, make sure you wear some flowers in your hair (e non importa che, invece di san francisco, il californiano abitasse a laguna beach). lui non ricordo quale mise portasse nel sogno ad occhi aperti, ma non credo di essermela mai immaginata nel dettaglio.
passata la cotta, altre cotte (e storie ben più importanti di una cotta) si sono aggiunte, eppure il vestito immaginato aveva perso una forma definita, forse perchè vedevo il matrimonio come un traguardo lontano e irraggiungibile, comunque successivo ad altri traguardi in cui sfoggiare altri vestiti. ad esempio quello per la laurea: un incubo trovarlo a luglio, a fine saldi, quando tutti i negozi del mondo sembravano sprovvisti di una cosa elegante ma non troppo, che non tradisse il mio spirito e allo stesso tempo facesse intendere che ero proprio io quella che si laureava quel giorno.
finchè un bel giorno è arrivata la certezza di aver trovato proprio un lui con cui passare la vita insieme, con cui arredare una casa e con cui condividere tutto, compreso naturalmente il sogno del vestito che però avrebbe visto solo quel giorno, senza ottenere alcuna anticipazione. è così che ho obbligato la cugina quasi sorella maggiore ad un tour de force alla ricerca del vestito perfetto, talmente perfetto che esisteva solo nella mia mente modellata da anni di storia dell'arte rinascimentale, cecilie gallerani e fanciulle altere con pettinature complicate che sfoggiano tagli antichi di preziosi broccati. avessi potuto fare un salto nella capitale della moda italiana del '400 (che per la cronaca è la stessa di oggi) probabilmente non avrei dovuto trascinarla da una boutique all'altra della brianza, del comasco e del lecchese, ma avrei subito trovato un modello soddisfacente. magari  non sarebbe stato adatto al caldo appiccicoso del sedici luglio, visto il numero di strati di cui sono solitamente composti i vestiti di altri tempi. chiaramente i fiori nei capelli mi erano rimasti come chiodo fisso, e fortuna vuole che mia nonna, intorno al 1930, si sia sposata con una coroncina di fiorellini realizzati in cera e stoffa, preziosamente conservata da mia madre fino a quel momento per una nuova sposa di un nuovo secolo.
e veniamo ai giorni nostri, o meglio all'incirca un anno fa, quando ho commissionato l'abito a un piccolo atelier che li faceva su misura, lasciandomi scegliere taglio, stoffe, dettagli. diciamo che il risultato è stato più che soddisfacente, tenendo presente il mio fisico non proprio da cecilia, l'assenza dell'ermellino e degli stivali da cow boy con cui mi avevano immaginato le mie alunne. ed è un peccato (ma anche una magia) pensare che dopo averlo messo per un giorno soltanto ora riposi in una scatola sotto al letto, in attesa - forse - di un'altra sposa in un altro secolo. 







sabato 16 agosto 2008

notte insonne e affamata

sto perdendo il conto dei giorni, delle ore, delle stagioni. là estate qui autunno domani bagno al lago stasera prima freddo poi vento tiepido con la luna piena che filtra dalle nuvole, dalla scalinata della rotonda, la stessa luna che qualche giorno fa sorgeva non ancora piena dietro la collina di prospect park in faccia a dylan e ai piedi di un milione di stelle.








il jet lag fa parte dei souvenir che uno si porta dietro dalle vacanze. bene non riuscire ad abituarsi in fretta, dà l'idea della distanza che si è coperta, perchè in effetti ero distante. talmente distante che ho imparato a comporre le vocali accentate con l'apostrofo e a digitare la chiocciolina schiacciando maiuscolo+4 e ancora fatico a riprendere l'abitudine. talmente distante che ora ho una fame che ho tenuto a bada con patatine fritte insieme a paolo e un grappolo d'uva bianca gigante, ma che so che mi terrà sveglia fino alle quattro, fino a convincermi di piazzarmi sul divano a guardare qualche gara di qualificazione di lancio del peso in diretta dalla prima mattina di pechino.

le foto non sono mai abbastanza, almeno non tante quante quelle che ho registrato nel mio cervello.

io e jefferson nel giardino della house of the seven gables a salem, paese pieno di streghe cacciate e di musei sulla caccia alle streghe, case coloniali e parchi con spettacoli di danze ucraine messe in scena da piccole bimbe con mattarello e costume tradizionale.








le serate passate a discutere del terzo significato della vita, anche se non ricordo esattamente il secondo, e il ritorno a boston dopo quei dieci giorni di new york che hanno fatto sembrare la prima un paesino di campagna rispetto alla seconda.



guardo e riguardo il video di roberto che fa finta di parlare italiano: mi vengono le lacrime dalle risate e dalla nostalgia di tre città che ho vissute tutte dall'inizio alla fine. mi viene in mente la scenetta che abbiamo fatto alla biglietteria del museo di toronto: lui studente italiano di napoli che ha dimenticato il tesserino e non parla inglese, e io studentessa italiana di venezia che mendica uno sconto studenti per entrambi con il vecchio tesserino della mia università. il tutto per risparmiare due miseri dollari. sarebbe stata da filmare. la serata passata tra i dischi di tomaz e in bici con doug attraversando la città da sud a nord, dal lago al diner, concludendola con un sano sandwich con tanto di patatine fritte pucciate nel gravy.








o ancora mi viene in mente la serata a bloor street ascoltando le variazioni goldberg sul marciapiede su cui glenn gould sarà passato centinaia di volte prima e dopo averle suonate e registrate, finita alle quattro del mattino passando da bach a dylan a una gloomy sunday improvvisata e a decine di altri pezzi ascoltati sul divano senza che il sonno ci ordinasse di andare a dormire.



la spiaggia di nudisti gay dell'isola di toronto è stata un'esperienza, insieme a robert&robert, con le nostre belle bici e l'idea di fare un bagnetto nel gelo del lago ontario, dopo aver ascoltato accuratamente una coppia sui 50 anni, lui di origine italiana, lui di origine non si sa, mandarsi a quel paese con selezionate parole in dialetto misto calabrese e canadese.








il film in bryant park con jason leah kate e felton ed il grattacielo di renzo piano sullo sfondo e i tavolini pieni di cibo messicano, cracker e formaggio arancione, ananas e mirtilli, o ancora l'ultima cena newyorkese della bea che si è concessa (ed io con lei) un sano hamburger con patatine in un diner poco lontano da union square e che si è conclusa con una porcata degna dell'america a base di fonduta di cioccolato con frutta e marshmallow caramellati all'istante.










la gita a ellis island e liberty island della prof ila con la collega prof franci e alcuni alunni a new york per imparare l'inglese, con un cielo da film e i grattacieli di manhattan come tanti omini immobili ammassati per farsi ammirare tra i nuvoloni bianchi e l'acqua.








il viaggio di ritorno è stato triste come ogni viaggio di ritorno in cui non si vuol tornare. ma voglio tenere da conto l'oceano come specchio d'argento che riflette la luna e le finestre dei grattacieli di boston che brillano più delle stelle, un film ambientato a new york nei posti in cui ho camminato fino al giorno prima, un paio di canzoni che suonano continuamente nella mia testa ancora prima di suonare nelle orecchie, un'ultima cena con jefferson nell'ultima bettola del porto di boston che resiste imperterrita all'avanzare dei grattacieli tutto intorno.





sabato 5 luglio 2008

nel mio paesello c'è un'antica piazza, racchiusa tra due esedre e alcuni edifici che avevano funzione di stalla, dove una volta si svolgeva il mercato dei bachi da seta.

questa piazza è cresciuta attorno ed insieme ad un santuario cinquecentesco costruito in seguito all'apparizione della madonna che si presentò su un albero di noce per indicare la strada a due poveri bambini persi nei boschi, figli dei pochi contadini che popolavano quei territori sotto il dominio dei marchesi crivelli.

sono molte le spose non autoctone che ambiscono la piazza e il bel santuario a pianta centrale (progettato da pellegrino tibaldi) come scenario per il loro matrimonio, e fanno sì che vengano costantemente riempiti gli interstizi tra i pietroni squadrati e i ciottoli di fiume con chicchi di riso, oltre che la chiesa con bellissimi fiori.

davanti al santuario ci sono due grandi portici aperti su tutti i lati, coperti da tegole sostenute da enormi travi di legno tra le quali i piccioni fanno il nido, e proprio sotto a uno dei due portici ho assistito stasera all'estate, quella vera, che mi toglie il fiato e mi rapisce nel bello che si ammucchia e fa gara a mostrarsi.

stavo camminando con giotto poco lontano e mi ha incuriosito un rumore, come di una tv a volume altissimo, che proveniva dall'interno della piazza. sentivo musica, e poi vociare di persone. mi sono avvicinata ad un sottoportico che fa da ingresso alla piazza, e ho riconosciuto un ronzio inconfondibile che mi ha portata indietro di parecchi anni, inizialmente, e mi ha trasportato direttamente in una scena di nuovo cinema paradiso. il ronzio era quello dato dalla bobina che scorreva veloce tra una pizza e l'altra di un proiettore, quasi come un rullare dolce di tamburi, che si amalgamava al sonoro del film sparato da un paio di casse ai lati del portico, e che dava magicamente vita alle scene proiettate su un enorme telo bianco. davanti al telo diverse file di sedie di plastica bianca, e sopra alle sedie, le silhouette di una cinquantina di spettatori, incantati nella magia  del film e della notte d'estate.

francis il mulo parlante. questo è il primo film che mi è capitato di vedere in un cinema all'aperto, precisamente all'oratorio, proprio di fianco al santuario. ricordo che era in bianco e nero. ricordo che c'era un mulo che parlava. non so esattamente quanti anni avevo, probabilmente sei o sette, ma sono cose che è difficile scordare. il rumore della bobina e i rumori del mondo che interferiscono liberamente con quelli dei dialoghi e delle musiche.

dolby surround, comode poltrone imbottite, effetti speciali, mega schermi, multisala con popcorn. in realtà la magia di un film viene amplificata dalle zanzare, le stelle in cielo, il caldo appiccicoso e le risate di qualche bimbo unite ai commenti di qualche adulto.

mi sono diretta verso il lungo viale dei cipressi che scavalca un paio di colline con una linea retta. giotto giocava con il suo guinzaglio, uno spicchio di luna sottile appena sopra l'orizzonte aveva proporzioni spropositate, dalla terra già avvolta dall'oscurità spiccavano i moncherini ultracentenari delle statue che si stagliavano sul il cielo più fosforescente di una lampada ultravioletta.

considerando che oggi pomeriggio l'ho trascorso al lago, direi che è stata proprio una bella giornata.

e domani inizio gli orali della maturità.





mercoledì 4 giugno 2008

il giro serale con giotto concilia il pensiero.

dopo un fine settimana così intenso e così da ridere come quello che è appena passato, e dopo una camminata in uno dei posti più suggestivi del circondario, mi sento un po' vuota. tanto per cambiare.

il weekend appena passato è stato composto dalle colline trapuntate del montefeltro, una buona dose di polifonia, accento romagnolo contraffatto, scorpioni nella vasca, consoli di san marino degni del miglior assessore alle varie ed eventuali. il concerto è stato solo un pretesto per macinare chilometri sulle strade a curve, osservando il modo in cui i papaveri trasformano l'erba in seta cangiante, e gustando il modo in cui la pasta si accompagna a funghi, salsiccia e ricotta. ma è stato anche un po' tornare in gita scolastica da protagonista. che la gita dal punto di vista del prof non è così divertente.













a proposito di gite, ieri ho fatto l'ultima gita da prof di questo anno scolastico, alla volta di san pietro al monte a civate, un gioiellino romanico appollaiato su un dosso erboso che come un terrazzo esposto a sud si affaccia sul panorama mozzafiato dei laghi della brianza. ho giocato con i numeri (uno, due, tre, quattro, nove, dodici) e ho sconfitto un enorme drago rosso che trascina con la sua coda le stelle del cielo e alcuni angeli in picchiata, mentre altri angeli guerrieri lo infilzano con lance in tutta la sua lunghezza.

 

 


domenica 20 aprile 2008

martedì 4 marzo 2008

domenica 13 gennaio 2008

domenica 6 gennaio 2008

mercoledì 2 gennaio 2008






come degno coronamento di un 2007 alquanto di cacca sono finita imbucata in una cena a cui nessuno mi ha invitato, con una quindicina di sconosciuti in un mega appartamento di un'arredatrice di interni di un paesotto qui vicino, le cui tre figlie hanno organizzato una cena molto fashion con abitini in seta, ballerine d'occasione, nastro rosso e stelline scintillanti con cui affumicarsi allo scoccare della mezzanotte. l'amica che ha avuto pietà di me e ha implorato la (figlia della) proprietaria di casa (nonchè ragazza di un amico del ragazzo dell'amica) ad accogliermi è stata fin troppo gentile e non aveva la minima idea di che razza di serata ci avrebbe aspettato. c'erano due strani personaggi di cui uno ha solo scattato fotografie con la sua D50, e l'altro.. l'altro ve lo devo descrivere perchè se non mi sono innamorata di lui è solo questione di tempo.

è un mito. laureato in fisica, orecchie a sventola coperte da un caschetto di capelli dritti e scuri che incornicia un volto carino, sta scrivendo una tesi di dottorato in matematica pura, per cui è stato all'estero qualche mese. non ha aperto bocca quasi mai. sul suo bicchiere di plastica invece del nome ha disegnato un carrello della spesa. dopo qualche ora seduto al tavolo di fianco a me si è sbilanciato e mi ha raccontato il perchè di quel carrello, ovviamente su mia incalzante e ripetuta richiesta. il tutto in una trentina di parole, centellinate minuto dopo minuto, tra silenzi imbarazzati e sorrisi arrossiti.

"quando ho finito le superiori e mi sono iscritto a fisica i miei compagni mi hanno detto che se fossi andato avanti così avrei avuto bisogno solo del cervello, e quindi avrei usato un carrello per muovermi. sarei diventato solo pensiero".



per fortuna il capodanno vero l'ho fatto con qualche giorno di anticipo, al mare degli italiani, tra presepi di sabbia e notti ghiacciate degne di una brianza dicembrina. l'ho fatto con amici di sempre anche se incontrati per caso solo una volta oltre a questa. condensare tre giorni in poche righe non è facile, perchè non è facile solo nominare andrea, zama, lele, luca, massi, senza sorridere ogni tre secondi e pensare che le cose vanno davvero in modo curioso. perchè attorno a un tavolino andaluso si possono incontrare persone che dopo due anni non è passato nemmeno un giorno. e ti senti a casa, con il cane pecorella, le anime nere, il lettino della nonna, i murales da fellini, le grotte nel tufo, papaline e turbanti, strozzapreti e tagliatelle al ragù (e molto, molto altro).

lunedì 17 dicembre 2007

est

in questo momento sarei probabilmente stata tra vicenza e verona, su un treno che mi riportava a milano dalla mia prima gita da prof a venezia. peccato che la mia prima gita da prof a venezia sia saltata, grazie alla pigrizia di troppi alunni che non hanno aderito a questa bella opportunità di farmi tornare nella mia città anche solo per un giorno.

naturalmente la meta era stata scelta dalla sottoscritta molto egoisticamente, per mostrare loro dal vero il bellini il giorgione il tiziano di turno che mi appassionano ogni giorno di più mentre preparo le lezioni e riprendo i miei appunti da quell'aula O di san sebastiano.

non voglio pensare all'ultima volta in cui sono stata a venezia. troppo tempo fa, troppo doloroso. voglio pensare a tutte le volte in cui sono stata a venezia, a partire dal primo viaggio della speranza (di trovare un appartamento) di un settembre di otto anni fa. rabbrividisco nel rendermi conto del tempo trascorso. due case, sette coinquiline, decine di ospiti vaganti, centinaia tra comparse, conoscenti, amici.

il punto è che voglio tornare a venezia. voglio tornare a viverci. spero di darvi il prima possibile il mio nuovo indirizzo con sestiere, numero civico, quarto piano senza ascensore e gabinetto che funziona a intermittenza. avrei bisogno di una bella cattedra lì. magari all'istituto d'arte di fianco alla chiesa dei carmini, o ancor meglio al liceo artistico di san trovaso, poco lontano dall'accademia e dalle zattere assolate. magari accompagnata da un bel dottorato a ca' foscari, avanti e indietro dai dipartimenti sparsi per le calli più lunghe e nascoste, senza dover sopportare 40 minuti di tram e metropolitana e con il fischio dei treni che arriva solo nelle sere limpide di prima estate, dal balcone rivolto ad ovest e illuminato dai raggi del sole che tramonta.P1020773

martedì 14 agosto 2007

epilogo



















































questo più o meno l'epilogo. difficile tentare un riassunto al momento, veramente troppo da raccontare.. per il resto andate a sbirciare le foto e se qualcuno è indeciso sulla futura meta si lasci influenzare da quello che vede, con la certezza che dal vero è ancora meglio (epilogo a parte). tornerei domani se potessi ma visti gli episodi degli ultimi 10 giorni per me sarà il caso di prendermi una vacanza dalla vacanza.

non ho nemmeno fatto in tempo a dispiacermi della fine di questa magia, forse perchè qualcun altro ha trasformato un incubo in una magia ancora più grande.

lo sai già tesoro mio, ma voglio dirtelo ancora.

martedì 27 febbraio 2007

giotto

da qualche giorno vengo svegliata da uno scodinzolio simpatico al mattino, con tanto di bacini e leccatine. prima arrivano le orecchie grandi come quelle di dumbo, poi le zampine e il muso umido. è arrivato giotto, e siamo tutti impazziti per lui. ora ci manca solo un micino per fargli compagnia..





giotto

giotto 2

mercoledì 14 febbraio 2007

è stato un weekend di frittella coperta di zucchero, in una fiera di paese in riva al lago quando il cielo si fa scuro, gocce imperiali al profumo di anice e miele di sulla per curare la pelle, gesto-colore alla bovisa in uno spazio surreale, tra un film western, alcuni ambienti dimessi dell'Arsenale di Venezia, una fabbrica uscita da chi ha incastrato roger rabbit.

voglio la mia metà.

e voglio l'estate.

qui, adesso.



domenica 17 settembre 2006

una foto tira l'altra, e così ho passato la serata in mezzo ai ricordi. li regalo anche a voi. spero di strapparvi un sorriso e di darvi un'idea seppur minima della mia pazza vacanza andalusa.

lunedì 10 luglio 2006

non è lo stadio ma il circolo dove si gioca a scopa



 


e non è un campo da calcio ma una rotonda stradale, con tanto di fontana al centro.



 


mi chiedo. ma nell'82 avranno fatto lo stesso casino? che io avevo due anni, e forse è per questo che non me lo ricordo, ma non avrei potuto immaginare queste scene... :)

mercoledì 7 giugno 2006


c'è questa foto che mi piace particolarmente. tecnicamente non è uscita alla meraviglia ma ero senza cavalletto e non ho voluto ritoccarla con photoshop, però il soggetto mi fa rabbrividire. anche un po' i colori. anche un po' le luci. nella foto non si vede il lampione arancione che illumina le foglie, ma è più presente il lampione che non l'albero mosso dal vento non vi pare?


giornata riflessiva oggi. tornando con il trenino stasera, a metà strada tra un'acquazzone e il sole. con i condomini che diventano palazzine che diventano villette che diventano prati. notavo che dal treno non si vede mai la gente che popola quegli spazi. o meglio, sono sporadiche macchiette che animano scene perlopiù deserte, quasi irreali nella loro immobilità. una donnina affacciata al balcone alle prese con scopa e paletta. il nonno con il bambino che fa ciaociao al treno. pendolari che scendono con la stanchezza a tracolla, insieme a borse, borsine, sacche, zainetti, sacchetti, ombrelli. macchine parcheggiate sotto casa, come se fossero ferme da decenni nello stesso posto. gran brutta cosa, fare la pendolare. soprattutto quando cactus tree ti prende di sorpresa tra le altre canzoni che iniziano per c e ti vien voglia di piangere.

lunedì 5 giugno 2006

quanDo il cielo è fatto di pennellate

succede che mentre si cerca di catturare queste pennellate qualcuno ti prenda per una signorina di quelle che aspettano l'autobus tutto il giorno sotto il sole cocente dove non c'è nemmeno il cartello della fermata e tu chiedi alla tua mamma: mamma mamma ma cosa fa lì quella signorina seduta? chi sta aspettando?


non mi pareva di essere vestita in modo molto provocante. avevo la tuta e la felpa con il cappuccio, la bici di fianco a me e una macchina fotografica. e non ero neanche su una di quelle strade piene di signorine. eppure si avvicina un tizio di colore, su un motorino, che chiede: "quanDo vuoi?" con un esplicito segno fatto con la mano.


quanDo?? facciamo finta di non aver sentito carino.




domenica 14 maggio 2006

quel ramo del lago di como..

...qualcuno vuole venire a vederlo?





la tentazione è stata alta dopo 30 km in bici sotto il sole e tre orette a fare la lucertola, ma il bagno non l'ho fatto. le mie previsioni però sono le seguenti: tra un paio di settimane l'acqua sarà abbastanza calda per sguazzare :)