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domenica 15 settembre 2013

cara valentina...

...il tempo non fa il suo dovere, e a volte peggiora le cose.

così diceva max gazzè in una bella canzone.

e così inizio io, cara valentina, alunna maturata a luglio e appena rivista nella tua "vecchia" scuola prima della tua partenza per venezia, per la tua nuova vita universitaria. non sapevo che alla fine avessi scelto lingue orientali proprio lì, a venezia: me l'hai detto così, ieri, durante una lezione che hai interrotto, scoprendo che anche io avevo studiato lì.
non sei la mia prima alunna che va a studiare a venezia da como, e non sarai neanche l'ultima, ma stasera ti sento molto vicina, immaginando la tua prima notte nella tua nuova casa veneziana. mi hai detto che l'hai trovata a piazzale roma, suppongo non affacciata esattamente sul piazzale, ma nel lato che dà verso santa marta. hai anche messo una foto su facebook, oggi, mia nuova amica di facebook e mia vecchia alunna dalle ciglia lunghe e dagli occhi verdi come il mare, con il canal grande visto da piazzale roma. forse non una delle vedute migliori ma sicuramente tra le prime che abbagliano i visitatori con lo splendore dell'acqua e dei palazzi.
ti immagino nella tua stanza da universitaria con la scrivania ancora libera dai libri che si accumuleranno esame dopo esame: una stanza impersonale che cercherai di fare tua, valigia dopo valigia, ritorno dopo ritorno, magari insieme ad una compagna di stanza con cui chiacchiererai all'infinito prima di addormentarti, raccontandovi a vicenda della vostra vita passata e di quella presente, pensando poco a quella futura, ché i vent'anni non sono il momento di riflettere sul poi, ma sull'ora.
ti immagino alle prese con i sughi pronti e le spese da billa, ancora poco allenata a cucinare, lavare i panni e fare tutte quelle cose superflue che fanno le casalinghe. del resto quella degli studenti è una vita al risparmio, non solo del riscaldamento in inverno, ma anche delle fatiche legate alle incombenze di tutti i giorni. del resto sono altre le cose importanti: gli appunti delle lezioni, gli spritz in campo santa margherita, le feste degli studenti erasmus, le passeggiate notturne in mezzo alla nebbia, le trasferte in treno con la musica nelle orecchie e un libro da sottolineare per tornare a casa, quella "vera" che ti sembrerà sempre meno casa. sono cose che ora non conosci nemmeno, ma imparerai ad amare, a ricercare, a riconoscere come routine quotidiana. imparerai a non poterne fare a meno. ti inserirai in quella catena infinita che è l'esperienza di tanti, che non avresti mai potuto immaginare ma è molto più comune di quanto tu possa renderti conto ora e nei prossimi anni. la rimpiangerai quando dovrai uscire dal mondo fatato degli universitari, dell'andare avanti esame dopo esame, semestre dopo semestre, con nuovi amici, nuovi coinquilini, nuovi amori e tante pazzie piccole o grandi, che segneranno per sempre la tua essenza. il liceo ti sembrerà roba da poco, anche se ti accorgerai quanto ti ha strutturato nel futuro.
mi raccomando, cara valentina, perditi nelle calli e nei campi, sbircia nei sottoporteghi ed entra nelle chiese e negli androni dei palazzi. salutami bellini e tiziano ai frari. cammina sempre con la testa all'insù e un occhio alla strada, fino a quando venezia sarà anche un po' tua, fino a quando non riuscirai più a perderti neanche volontariamente perchè ti sarà talmente entrata dentro che i sestieri non apparranno più come dei labirinti magici ma tutto si sbroglierà, i nomi torneranno, le curve e le svolte saranno impresse nei tuoi piedi e saprai raccontare a memoria il percorso per san marco o per rialto ad un qualsiasi turista che al secondo ponte si sarà già dimenticato tutto.

giovedì 5 aprile 2012

cose di altri tempi


una vecchia del secolo passato, ecco cosa sono. almeno stando agli sguardi increduli di una mia classe di alunni (ok, prevalentemente alunne) che per il matrimonio ha regalato a me e al mio maritino un coupon per un weekend romantico. lo abbiamo sfruttato a inizio marzo, scegliendo come destinazione il pistoiese tra piccoli borghi e città meno impegnative di firenze, lucca o pisa.
fin qui, niente di strano.
il problema è che ieri mattina, in classe, ho finalmente portato le foto da mostrare in classe con il videoproiettore. so che non è una lezione di storia dell'arte propriamente ortodossa ma cosa c'è di meglio se non far vedere che la materia che insegni è la tua passione anche in privato? poco importa se ogni tanto, tra le foto, ci scappa quella del marito che si mette in pose plastiche davanti a un protiro romanico, o della moglie-prof che fa facce buffe a imitazione dei mostriciattoli onnipresenti sui capitelli.
anche questo però non dovrebbe destare alcuno scandalo. i miei alunni mi conoscono e sanno che a volte sono poco ligia al mio ruolo di docente, come quando in gita canto le sigle dei cartoni animati al microfono del bus o improvviso un forte accento russo mentre spiego le cupole del cremlino.
in alcune di queste foto però compariva ogni tanto una terza persona oltre a me e al mio maritino, e mi sono sentita in dovere di spiegare ai ragazzi chi fosse: il mio primo amore a distanza dei tempi del liceo, massimo, che ho rivisto proprio durante questo weekend dopo anni che ci sentivamo solo per via telematica. lui è di fucecchio, amico del mare di amici, e la scintilla era scoccata durante una vacanza sulla neve con l'oratorio, probabilmente durante la seconda superiore. ovviamente è finita come finiscono tutte le storie adolescenziali a distanza: con un lento e progressivo spegnersi della scintilla che ha però lasciato una tenerezza e un affetto che ancora oggi passano nei sempre più rari abbracci non virtuali (basti dire che l'ultima volta che ci eravamo visti era stato in occasione della mia festa di laurea).
ovviamente la popolazione femminile della classe si è messa a fare risolini e urlettini quando ho raccontato che quel ragazzo (forse loro lo vedono come "signore") ritratto a fianco di mio marito era l'amore dei tempi del liceo della loro professoressa. deve essere sembrato piuttosto strano che non si prendessero a botte in preda ad attacchi di gelosia postuma o retroattiva (a seconda dei punti di vista). il parallelo con loro era troppo stretto! ragazzine di diciassette anni che come me allora si struggono d'amore per una storia impossibile.
ma quello che le ha lasciate davvero interdette è stato raccontare come io e lui ci tenevamo in contatto e ovviavamo alla distanza così mastodontica: la corrispondenza per lettere cartacee e le sporadiche telefonate dalla cabina, con la tessera da 5000 lire che si esauriva nel giro di pochi minuti. non l'avessi mai detto!
insomma, devono avermi visto come uno di quegli scheletri di dinosauri appesi al soffitto del museo di storia naturale di milano.
alunna n.1 (tipa pratica): "prof, ma quanto tempo ci voleva perchè arrivasse una lettera?"
prof: "considerato che non c'era ancora la posta prioritaria, almeno tre o quattro giorni".
alunna n. 2 (tipa molto simpatica): "ma prof ma lei avrà fatto il liceo quindici anni fa, non sono mica passati secoli!"
prof: "eh ragazzi non me lo ricordate! 
alunna n. 3 (tipa sensibile): "ma allora quando noi siamo nate lei era come noi adesso!"
prof: lacrimuccia
alunna n.4 (tipa tecnologica): "ma internet non c'era ancora?? ma non ci credo!"
prof: "io ho iniziato a avere internet quando ero in quinta liceo"
alunna n. 5 (tipa incredula): "ma non esistevano i cellulari??"
alunna n. 6 (tipa ricca): "prof io mi ricordo che mio papà aveva un cellulare ma era grossissimo!"
prof: silenzio


giovedì 9 febbraio 2012

spose di altri secoli

da piccola dicevo che mi sarei sposata in pantaloni, e non ricordo quando ho cambiato idea a tale proposito. devo aver pensato per un po' - ma non per molto - che non mi sarei mai sposata, probabilmente intorno alla crisi adolescenziale in cui ero brutta, grassa e secchia: un trinomio da mandare in crisi anche la più solida ragazza. quando però mi è capitato di innamorarmi, solitamente di persone che non facevano parte della cerchia di amici del mio paesello ma abitavano almeno a più di 100 km di distanza, devo aver ripreso ad immaginare il mio matrimonio, anche se non saprei dire se con gonna o pantaloni. forse non era la cerimonia in sè ad attirarmi, quanto la possibilità di avere qualcuno tutto mio a cui telefonare spendendo paghette settimanali in schede da cinquemila lire oppure mandare lettere cartacee lunghe pagine e pagine di struggimenti.  sta di fatto che, quando mi sono innamorata dell'hippie californiano intorno ai diciannove - venti anni, ero certa che nonostante l'oceano atlantico che ci separava lo avrei sposato. il matrimonio sarebbe stato su una spiaggia con i piedi nudi nella sabbia e un baldacchino intrecciato di fiori, mentre una brezza spirava al tramonto e tutti applaudivano commossi sulle note di una chitarra acustica come nella scena più kitsch di una commedia romantica anni '90. il vestito immaginario ovviamente era provvisto di gonna lunga un po' pizzosa perchè, anche se adoravo i pantaloni a zampa, erano un capo di vestiario ancora piuttosto introvabile a quel tempo, che non possedevo e non sapevo neanche dove andare a comprare (maledetti anni '90!). naturalmente avrei portato fiori nei capelli: del resto, if you go to san francisco, make sure you wear some flowers in your hair (e non importa che, invece di san francisco, il californiano abitasse a laguna beach). lui non ricordo quale mise portasse nel sogno ad occhi aperti, ma non credo di essermela mai immaginata nel dettaglio.
passata la cotta, altre cotte (e storie ben più importanti di una cotta) si sono aggiunte, eppure il vestito immaginato aveva perso una forma definita, forse perchè vedevo il matrimonio come un traguardo lontano e irraggiungibile, comunque successivo ad altri traguardi in cui sfoggiare altri vestiti. ad esempio quello per la laurea: un incubo trovarlo a luglio, a fine saldi, quando tutti i negozi del mondo sembravano sprovvisti di una cosa elegante ma non troppo, che non tradisse il mio spirito e allo stesso tempo facesse intendere che ero proprio io quella che si laureava quel giorno.
finchè un bel giorno è arrivata la certezza di aver trovato proprio un lui con cui passare la vita insieme, con cui arredare una casa e con cui condividere tutto, compreso naturalmente il sogno del vestito che però avrebbe visto solo quel giorno, senza ottenere alcuna anticipazione. è così che ho obbligato la cugina quasi sorella maggiore ad un tour de force alla ricerca del vestito perfetto, talmente perfetto che esisteva solo nella mia mente modellata da anni di storia dell'arte rinascimentale, cecilie gallerani e fanciulle altere con pettinature complicate che sfoggiano tagli antichi di preziosi broccati. avessi potuto fare un salto nella capitale della moda italiana del '400 (che per la cronaca è la stessa di oggi) probabilmente non avrei dovuto trascinarla da una boutique all'altra della brianza, del comasco e del lecchese, ma avrei subito trovato un modello soddisfacente. magari  non sarebbe stato adatto al caldo appiccicoso del sedici luglio, visto il numero di strati di cui sono solitamente composti i vestiti di altri tempi. chiaramente i fiori nei capelli mi erano rimasti come chiodo fisso, e fortuna vuole che mia nonna, intorno al 1930, si sia sposata con una coroncina di fiorellini realizzati in cera e stoffa, preziosamente conservata da mia madre fino a quel momento per una nuova sposa di un nuovo secolo.
e veniamo ai giorni nostri, o meglio all'incirca un anno fa, quando ho commissionato l'abito a un piccolo atelier che li faceva su misura, lasciandomi scegliere taglio, stoffe, dettagli. diciamo che il risultato è stato più che soddisfacente, tenendo presente il mio fisico non proprio da cecilia, l'assenza dell'ermellino e degli stivali da cow boy con cui mi avevano immaginato le mie alunne. ed è un peccato (ma anche una magia) pensare che dopo averlo messo per un giorno soltanto ora riposi in una scatola sotto al letto, in attesa - forse - di un'altra sposa in un altro secolo. 







martedì 4 agosto 2009

dev'esseci senza dubbio un dio dei viaggiatori benintenzionati

sono gia' immersa da qualche giorno nel portogallo di braga e guimaraes, tra poco vado a porto, e sono gia' passata per santiago e barcellona. il mio viaggio per ora e' lungo una settimana, e' stata una settimana lunga. sembrano passati mesi. forse perche' la distanza da casa quest'anno e' piu' una mancanza. non di qualcosa, ma di qualcuno.


ha fatto caldo, molto caldo a barcellona. il piede destro si e' ribellato dopo aver attraversato la citta' a piedi passando per la rambla, l'exaimple e gracia, e mi ha costretto a due giorni di sosta forzata nella spiaggia della barceloneta. un po' cannaregio, un po' rimini, con le sue case a blocchi rettangolari, i balconi in ferro con i panni appesi, le trattorie di pesce molto rustiche (incredibile da can mano), la sabbia e i topless di dubbio gusto.


ha piovuto, fatto freschino, sopprattutto a santiago, ma la spiritualita' che si respira li' e l'invidia per tutti quei pellegrini che hanno sui piedi e sulle gambe i chilometri percorsi, e sulla bocca un sorriso e una soddisfazione per essere arrivati alla meta, mi ha fatto dimenticare l'umidita' costante nelle case e nelle strade.  ho anche avuto la fortuna di conoscere dei ragazzi di santiago: una rarita' se si conta il numero di pellegrini e turisti al confronto. kiko e alvaro, il primo minatore nazionalista, l'altro latin lover tamarro, incontrati in un bar di pontevedra al pomeriggio e rivisti alla sera in una bettola del fratello di kiko che mi ha anche portato ad una sagra di paese li' vicino con tanto di orchestra di liscio e ragazzine in tiro per le grandi occasioni mondane.


da due giorni invece ho cambiato paese, e non so come possa essere piu' lontano il portogallo dalla spagna per abiutudini e orari. l'ho sperimentato restando senza cena: se in galicia e catalunya si cenava tra le 11 e mezzanotte, qui alle 10 e' tutto chiuso. forse e' un posto piu' "normale", ma mi ero abituata all'anormalita' della spagna, alla sveglia tardi, al pranzo tardi, alla cena tardi, alla nanna tardi.


c'e' da dire che questo ritorno alla "normalita'" e' ampiamente compensato dagli azulejos che decorano le case, le chiese, gli interni e gli esterni, con meravigliosi giochi geometrici e floreali, o poetici racconti in bianco e azzurro di sapore settecentesco.


ho saramago che mi accompagna: una matita per cerchiare i nomi dei posti visitati, la stessa matita per sottolineare frasi che avrei potuto scrivere anche io, magari non cosi' bene, ma altrettanto sentite.


dev'esserci senza dubbio un dio dei viaggiatori benintenzionati.

giovedì 9 luglio 2009

sto ascoltando tanta buona buonissima musica, soprattutto dal vivo.

non so se sia una cosa direttamente legata all'estate, probabilmente in estate ci sono più possibilità.

tanta, tanta musica diversa. con tante meravigliose persone, a iniziare dagli u2 a san siro due sere fa, passando per i sulutumana alla sagra di paese, senza dimenticare i cori del concorso di legnano provenienti da tutto il mondo: giappone, norvegia, cuba, inghilterra..

cosa sarebbe la mia vita senza musica? non lo dico come un'adolescente. lo dico come una quasi trentenne che si dispiace per non aver mai avuto la possibilità di impararla davvero, la musica.

come fanno le persone senza musica? ne conosco tante, che non ascoltano musica, o ascoltano una musica che è quasi spazzatura.

soprattutto, non è esattamente la stessa cosa ascoltarla con un paio di cuffie, o sentirla in una meravigliosa chiesa affrescata nel cinquecento, con gli armonici che riempiono lo spazio e si scontrano con le pareti e le volte, si infrangono contro le colonne o girano intorno creando eco meravigliose, arrivando alle orecchie degli ascoltatori tra scricchiolii di panche, colpi di tosse e fruscii di vestiti.

non è esattamente la stessa cosa ascoltarla da un asettico cd o immersi in uno stadio con settantasettemila persone che cantano all'unisono la stessa melodia, con a fianco qualcuno che entra nello stesso vortice di suoni, di luci, di brividi in cui sei tu.

giovedì 16 ottobre 2008

la quinta elle

undici su diciotto circa.

i banchi a ferro di cavallo hanno aiutato a ricostruire un elenco pseudoalfabetico che non sentivamo pronunciare da nove anni e, complice la tecnologia che a volte rima con nostalgia, ci siamo ritrovati nel parcheggio davanti a scuola.

c'era la femme fatale che fa la giornalista e mi ha recuperato con la sua micra alla stazione, sta con un argentino conosciuto nel bar dove lavorava sin dai tempi del liceo, quando il sabato mattina alla prima ora ronfava durante filosofia per recuperare il sonno perso dietro al bancone.

c'era il copywriter che deve ancora laurearsi e va in giro con un paio di occhialoni neri da intellettuale filosofo letterato e si stropiccia le mani mentre ti spiega le cose, proprio come faceva durante le interrogazioni di storia dell'arte e letteratura italiana.

c'era la collega rappre(sentante degli studenti insieme a me nella lista "le matite spezzate continuano a disegnare") che si è sposata con il suo moroso mr. oasis dei tempi del liceo e segue bambini sordomuti accompagnandoli dall'asilo al liceo.

c'era la stilista in erba con la pelle di velluto uscita dallo ied che ha odiato lavorare con dolce (stefano) e ora idolatra la sua nuova capa donatella (versace) per il piattume del suo naso e il suo volto simile a una vera opera plastica.

c'era la gallerista d'arte part time che nel tempo più o meno libero porta in giro per il mondo le persone e lavora per una società che organizza assaggi enogastronomici.

c'era la grafica pubblicitaria che lavora per un mobilificio brianzolo nel settore cataloghi e fiere e ogni tanto compare in qualche foto stile calendario (vestito) con il suo sorriso smagliante di sempre e la risata contagiante.

c'era lo sbruffone che al liceo non ha mai combinato niente ma ha le mani in pasta in mille giri tra politica e regione lombardia e o lo ami o lo odi (e io lo amo perchè insomma non è che ci fosse molta scelta con soli due maschi in classe).

c'era la quasi mamma che restaura mobili e l'anno scorso ha dato alla luce letizia maria, piccola creaturina vissuta solo mezzora ma tanto voluta e tanto amata, che tra poco avrà un fratellino che proteggerà e seguirà dal cielo.

c'era l'impiegata di banca che non si capisce come abbia fatto a finire in banca dopo il liceo artistico ma tant'è (e se la spassa anche, e ci va in bicicletta)

c'era la "flower artist" che dimostra come purtroppo chi esce dall'accademia nel 99% dei casi se la cava come riesce, con un lavoro di fiorista ereditato dalla famiglia e la flemma costante dal primo giorno della prima liceo.

mancava l'illustratrice freelance con un sacco di talento che si è appena trasferita a londra con il neomarito, la quasi avvocatessa aspirante miss padania che ha tirato un mega pacco all'ultimo minuto, la pazza con i capelli da medusa che è stata forse l'unica vera artista della classe e  e poche altre pulzelle dal non ben precisato impiego e impegno.

dimenticavo... c'ero io, che proprio dal liceo non ho mai voluto andarmene, e ci sono ancora adesso.

martedì 15 luglio 2008

regolarmente venezia si presenta nei miei sogni e lascia un solco sulle palpebre quando le riapro al mattino.

quella di stanotte era una venezia inizialmente notturna: un ramo buio, in realtà un miscuglio tra una stretta calle realmente esistente vicino al palazzo dei pompieri ed un'altra totalmente inventata situata nei pressi di san zaccaria.

sono fuori da un bacareto con gente in piedi con il bicchiere di spritz o di bianco, uno zaino o una specie di valigia appresso, piuttosto di fretta perchè devo passare da un amico che abita lì nelle vicinanze. all'improvviso mi trovo da sola, in un punto della città per cui non ho alcuna coordinata spaziale. dovrei essere tra san zaccaria e riva degli schiavoni, e invece mi ritrovo a camminare in un campo che somiglia a san tomà ma non mi porta nè ai frari nè al traghetto sul canal grande.

cammino per ore. è buio e a fatica riesco a dirigermi in una zona conosciuta: l'oscurità mi fa procedere quasi alla cieca.

gli edifici si diradano, uno strano ponte senza parapetto e largo poco più di mezzo metro viene utilizzato da motorini e biciclette per attraversare un canale che mi separa da uno slargo su cui si staglia un enorme albergo con una magnifica facciata art nouveau, illuminata da decine di lampade. l'effetto è quello di un fondale felliniano unito al grand hotel di tremezzo. scende una pioggerellina fine che rende lucidi i lastroni in pietra d'istria su cui si riflettono i fanali dei motorini. si sta facendo giorno ma c'è parecchia gente in giro. chiedo a un facchino in divisa in quale punto della città mi trovo. sono sempre a venezia, ma si tratta di un'isola a sud est della laguna, vicina all'aereoporto ormai in disuso, su cui però attraccano centinaia di barche di turisti che si mettono disordinatamente in fila su passerelle in legno simili a intricati fili di una ragnatela. è estate ed a questo punto c'è un sole piuttosto caldo che getta ombre nette sulle assi delle passerelle. mi metto in fila anche io, fino a quando scopro che si tratta di una coda per visitare un'enorme chiesa cinquecentesca dalla facciata altissima e larghissima, al cui interno sono apparentemente custodite meravigliose opere d'arte. almeno questo è quanto affermano numerosi cartelli ad uso turistico disseminati nei dintorni. ma io devo tornare a venezia, che vedo in lontananza come una magnifica cartolina circondata dalle alpi innevate, quasi un anfiteatro naturale. l'aria è  cristallina e mi permette di vedere la città da un punto di vista assolutamente nuovo. non avevo mai notato che le isole della laguna assomigliano a quelle delle cicladi, come degli enormi panettoni brulli che entrano nel mare blu.

scelgo di dirigermi verso il centro: la chiesa e i suoi tesori possono aspettare.

tutta questa scenografia si smaterializza. il sogno mi lascia.

sabato 5 luglio 2008

nel mio paesello c'è un'antica piazza, racchiusa tra due esedre e alcuni edifici che avevano funzione di stalla, dove una volta si svolgeva il mercato dei bachi da seta.

questa piazza è cresciuta attorno ed insieme ad un santuario cinquecentesco costruito in seguito all'apparizione della madonna che si presentò su un albero di noce per indicare la strada a due poveri bambini persi nei boschi, figli dei pochi contadini che popolavano quei territori sotto il dominio dei marchesi crivelli.

sono molte le spose non autoctone che ambiscono la piazza e il bel santuario a pianta centrale (progettato da pellegrino tibaldi) come scenario per il loro matrimonio, e fanno sì che vengano costantemente riempiti gli interstizi tra i pietroni squadrati e i ciottoli di fiume con chicchi di riso, oltre che la chiesa con bellissimi fiori.

davanti al santuario ci sono due grandi portici aperti su tutti i lati, coperti da tegole sostenute da enormi travi di legno tra le quali i piccioni fanno il nido, e proprio sotto a uno dei due portici ho assistito stasera all'estate, quella vera, che mi toglie il fiato e mi rapisce nel bello che si ammucchia e fa gara a mostrarsi.

stavo camminando con giotto poco lontano e mi ha incuriosito un rumore, come di una tv a volume altissimo, che proveniva dall'interno della piazza. sentivo musica, e poi vociare di persone. mi sono avvicinata ad un sottoportico che fa da ingresso alla piazza, e ho riconosciuto un ronzio inconfondibile che mi ha portata indietro di parecchi anni, inizialmente, e mi ha trasportato direttamente in una scena di nuovo cinema paradiso. il ronzio era quello dato dalla bobina che scorreva veloce tra una pizza e l'altra di un proiettore, quasi come un rullare dolce di tamburi, che si amalgamava al sonoro del film sparato da un paio di casse ai lati del portico, e che dava magicamente vita alle scene proiettate su un enorme telo bianco. davanti al telo diverse file di sedie di plastica bianca, e sopra alle sedie, le silhouette di una cinquantina di spettatori, incantati nella magia  del film e della notte d'estate.

francis il mulo parlante. questo è il primo film che mi è capitato di vedere in un cinema all'aperto, precisamente all'oratorio, proprio di fianco al santuario. ricordo che era in bianco e nero. ricordo che c'era un mulo che parlava. non so esattamente quanti anni avevo, probabilmente sei o sette, ma sono cose che è difficile scordare. il rumore della bobina e i rumori del mondo che interferiscono liberamente con quelli dei dialoghi e delle musiche.

dolby surround, comode poltrone imbottite, effetti speciali, mega schermi, multisala con popcorn. in realtà la magia di un film viene amplificata dalle zanzare, le stelle in cielo, il caldo appiccicoso e le risate di qualche bimbo unite ai commenti di qualche adulto.

mi sono diretta verso il lungo viale dei cipressi che scavalca un paio di colline con una linea retta. giotto giocava con il suo guinzaglio, uno spicchio di luna sottile appena sopra l'orizzonte aveva proporzioni spropositate, dalla terra già avvolta dall'oscurità spiccavano i moncherini ultracentenari delle statue che si stagliavano sul il cielo più fosforescente di una lampada ultravioletta.

considerando che oggi pomeriggio l'ho trascorso al lago, direi che è stata proprio una bella giornata.

e domani inizio gli orali della maturità.





mercoledì 4 giugno 2008

il giro serale con giotto concilia il pensiero.

dopo un fine settimana così intenso e così da ridere come quello che è appena passato, e dopo una camminata in uno dei posti più suggestivi del circondario, mi sento un po' vuota. tanto per cambiare.

il weekend appena passato è stato composto dalle colline trapuntate del montefeltro, una buona dose di polifonia, accento romagnolo contraffatto, scorpioni nella vasca, consoli di san marino degni del miglior assessore alle varie ed eventuali. il concerto è stato solo un pretesto per macinare chilometri sulle strade a curve, osservando il modo in cui i papaveri trasformano l'erba in seta cangiante, e gustando il modo in cui la pasta si accompagna a funghi, salsiccia e ricotta. ma è stato anche un po' tornare in gita scolastica da protagonista. che la gita dal punto di vista del prof non è così divertente.













a proposito di gite, ieri ho fatto l'ultima gita da prof di questo anno scolastico, alla volta di san pietro al monte a civate, un gioiellino romanico appollaiato su un dosso erboso che come un terrazzo esposto a sud si affaccia sul panorama mozzafiato dei laghi della brianza. ho giocato con i numeri (uno, due, tre, quattro, nove, dodici) e ho sconfitto un enorme drago rosso che trascina con la sua coda le stelle del cielo e alcuni angeli in picchiata, mentre altri angeli guerrieri lo infilzano con lance in tutta la sua lunghezza.

 

 


mercoledì 7 maggio 2008





sento le note ancora risuonare in un lontano accordo, e ho ancora il colore negli occhi di quella nuvola dorata che avvolge di luce l'Assunta.

cosa può volere in più una persona?

le note del vespro della beata vergine, composto da monteverdi che riposa tranquillo da quattro secoli qualche cappella a sinistra dell'altare maggiore su cui si staglia imponente la prima grande opera pubblica di tiziano, che con il suo gesto ci porta tutti più in alto, proprio verso quella luce dorata.

altro che sindrome di stendhal.

c'è da impazzire.

c'è da impazzire all'idea che in quattro giorni sono stata sommersa da una bellezza onnipresente, e ora...

giovedì 14 febbraio 2008

martedì 20 novembre 2007

Chicca recente che vince il premio "macchebbellebanalità" in TERZA LICEO, parlando di Wiligelmo e Antelami, scultori del Duecento, da mettere a confronto attraverso i rispettivi rilievi con Storie della Genesi e Deposizione dalla croce



Le due lastre hanno in comune il tema sul quale vertono, ovvero la religione, quindi Dio, che in quel periodo era il personaggio più importante.



Questa invece del gigione con l'apparecchio che l'anno scorso, in prima, parlava di sostanze carcerogene nelle tombe di tufo degli etruschi, e quest'anno ci dà prova della sua profonda conoscenza della genesi ed evoluzione della basilica paleocristiana:



All'inizio le basiliche erano in stile paleocristiano che poi si è evoluto nel tempo e veniva usato, per fare affreschi o dipingere vetrate, lo stile pagano, con delle interpretazioni diverse ed è costruita con una struttura pagana, poi col tempo cambiò struttura.



Piuttosto macabre, infine, le definizioni di "cripta":



Luogo sotto l'altare dove si tenevano le parti del corpo dei martiri



Luogo dove era custodito il cadavere del santo



Parte sotterranea della chiesa dove venivano posti i cadaveri



Si trova sotto le chiese romane
(??) es. S. Ambrogio (??), ed è un luogo dove vengono sepolti i preti o persone ecclesiastiche

lunedì 2 luglio 2007

una domenica mattina assolata e deserta si è conclusa davanti a un piatto di ciliegie, con due rose bianche e una blu, in una casa di nonni piena di centrini e vecchie fotografie appese alle pareti. ho visto posare con leggero imbarazzo una giovane sposa con velo e crinoline e un bel ragazzo impettito nel suo abito della festa. ho sfogliato le pagine di un album conservato sulla credenza del salotto come un antico reliquiario sulla mensa di un altare, saltando tra i decenni, ammirando signorine sorridenti con cipria e rossetto in perfetto stile telefoni bianchi, facendo l'occhiolino a improbabili costumi da bagno e cappellini su spiagge ancora deserte, sedendomi sul terrazzo della casa al mare che era così spazioso.

ho perso tutti i miei nonni, alcuni prima che potessi rendermi conto di averne, altri quando ancora non avevo realizzato quanto fossero preziosi, ma ieri mi è parso di averne trovati di nuovi nel paese delle mele.

hanno un odore tutto loro, i nonni. un po' come quello dei bambini. sanno di naftalina e caramelle allo zucchero, con il soggiorno immacolato e che vergogna ricevere questa bella signorina in cucina così, mentre stiamo ancora finendo di pranzare.. almeno la tovaglia ha dipinti tutti i frutti che uno vorrebbe avere in tavola: le fragole, le ciliegie, le mele, le banane. e le ciliegie si mangiano "con gli ossi", che ho sentito che fanno bene, e così non si butta via niente. dieci a me, dieci a te.

i nonni hanno sempre due gingerini nel frigo, che non si sa mai chi viene a trovarci. e le nonne danno sempre la mancia, magari scrivendo su un bigliettino, con la loro calligrafia tremolante, dieci euro per il compleanno e cinque euro per l'onomastico.



mercoledì 7 febbraio 2007

ogni tanto mi incanto nell'osservare la delicatezza di qualche mia alunna. vorrei avere ancora sedici anni. mi faccio trasportare dalla loro fragilità, quando le interrogo e si avvicinano a me con le loro collanine, i jeans stracciati e polvere di ombretto sulle palpebre, mentre si stropicciano le mani e mi guardano con gli occhi grandi, un po' timorosi. giocano a fare le donne. arrivano a scuola ben curate, la pelle bianca, ogni dettaglio a posto, mentre io non sono nemmeno sicura di avere le lenti a contatto o gli occhiali.

adoro quando ragazzi e ragazze mi guardano a bocca aperta mentre li introduco a piccole verità che a me sembrano così banali: a loro aprono tutto un mondo nuovo. non me ne accorgevo quando ero io a occupare il banco e non la cattedra, ma a volte vorrei fare una fotografia di quello che vedo da lì mentre spiego.

certo, non tutti i momenti sono idilliaci come questo. ma non sono la fatina turchina con il flauto magico.

lunedì 6 novembre 2006

questa sera sono stata a trovare peppo, il mio prof di disegno del liceo, con il quale sono ancora in contatto.



credo che tutti abbiano avuto almeno un professore, durante gli anni della scuola, dal quale sono rimasti affascinati. forse non tutti hanno avuto un professore che ogni tanto li invita a casa una domenica sera, o un pomeriggio qualsiasi, come vecchi amici, per fare quattro chiacchiere e tenersi aggiornati sulle rispettive vite.



è un omino piuttosto piccolo, sempre vestito di nero, tanto che qualcuno lo scambia per un becchino. indossa sempre un cappello a falde nero e anfibi troppo grandi per la sua corporatura gracile, oltre ad un toscanello quasi nero che fuma di tanto in tanto. rimasto uguale negli anni, non l'ho mai sentito alzare la voce, non ha mai dovuto alzare la voce.

la sua saggezza è tanto grande quanto è grande la sua umiltà.

ha delle belle dita nodose, con le quali teneva il pennello in un modo tutto particolare. sono anni che non lo vedo più con un pennello in mano, essendo anni che ho finito il liceo, ma ricordo ancora alla perfezione come si comportava, mentre girava tra i nostri cavalletti nelle adorate ore di disegno dal vero, proponendo consigli e spunti per le nostre piccole grandi opere d'arte. non lo afferrava con forza: lo accarezzava gentilmente, allo stesso tempo con sicurezza, e tracciava linee esperte e tremolanti, che racchiudevano in un contrasto tra il bianco del foglio e il nero della china una quantità di sfumature sorprendenti.

non ha mai messo paletti ai suoi studenti, anzi li ha sapientemente diradati, aprendo strade che intuiva in ciascuno di loro, facendo loro assaggiare a piccoli bocconi la complessità dell'arte, la complessità della vita.



peppo mi ha fatto amare la china nera, la durezza del segno di una xilografia, il miracolo della stampa fotografica in bianco e nero. mi ha insegnato a guardare dentro alle cose. anche alle più piccole. a collegare l'arte disegnata con quella pensata, la letteratura con la filosofia. mi ha sussurrato con modestia e generosità quanto sia importante esprimere il proprio io, non importa come, e nemmeno perchè.

venerdì 25 agosto 2006

il sole, il sonno e la grandine

la casa sembra sempre più grande, o più piccola, al ritorno da un lungo viaggio.


l'estate pare scomparsa all'improvviso. ad accogliermi una sonora grandinata a bordo dell'aereo appena fermato in pista, con i sandali (quasi) nuovi che assaggiano l'acqua. il cielo da sopra e poi da sotto è così diverso.


piccoli grandi cambiamenti di rotta negli ultimi giorni. vi avevo lasciato a baeza, e a baeza ho lasciato buona parte delle foto. puff. scomparse. è stata una botta, spero di recuperarne il più possibile dai compagni di viaggio, maledette camere digitali.


dopo baeza, dove mi ha rimorchiato emilia, la fanciulla spagnola dell'internet cafè, sono partita per cordoba, ultima tappa prima dell'aereo a madrid. lì ho incontrato 5 pazzi in pulmino da rimini, mentre ero alle prese con una bottiglia congelata di "nestì" che cercavo di versare in un bicchiere, seduta ad un tavolino di un lunedì pomeriggio andaluso.


nel loro appartamento ho cucinato e mangiato pasta, ho riso, cantato, suonato, ricevuto proposte indecenti, come quella di fare una piccola deviazione a valencia. e così il giorno dopo abbiamo macinato centinaia di chilometri insieme, diretti alla playa, sul loro pulmino spazioso. quando si dice  lasciarsi trasportare dagli eventi.. è quello che ho saputo fare meglio. l'ho imparato giorno dopo giorno. e sapete una cosa, è una sensazione meravigliosa.


cavalieri divertenti, mi hanno accompagnato nell'ultimo giorno del viaggio, cercando di scacciare la tristezza per il ritorno imminente, coccolandomi come solo 5 ragazzuoli possono coccolare una chica che viaja sola.


ora sono qui con la pelle scura, uno zaino quasi vuoto, cartoline da imbucare, poche foto da riguardare. gli occhi stanchi, il fuso orario della spagna, la guida pastrugnata con sottolineature, asterischi, punti esclamativi, nuovi nomi e indirizzi. e molto molto altro. ma lo racconterò un po' per volta, che è ora di fare lindos suenos.

martedì 15 agosto 2006

bollettino n. 2

sto facendo i conti con un sacco di cose, dai giorni che mancano alla fine della vacanza - sigh - ai soldi che iniziano a scarseggiare, agli amici che ho trovato sulla strada ed a quelli che ho dovuto salutare.


inutile dirvi che sono un po' triste, perche` avevo trovato dei compagni di viaggio meravigliosi ma stanotte mi e' toccato salutarli. abbiamo diviso la macchina, la tenda, le risa isteriche alle 7 del mattino aspettando l'autobus per tornare al campeggio, i biscotti ai datteri, l'argilla di tarifa spalmata sulla pelle per renderla piu` bella, un'enorme padella di paella, gli abbracci.


ora proseguo il mio viaggio piu`o meno solitario, anche se in realta`un amico del gruppo - che tralaltro e`stato l'artefice dell'incontro - e` restato a malaga, almeno per oggi.


stanotte dormiro` in un letto vero, con tanto di materasso e una stanzina tutta per me in una residenza universitaria piuttosto sciccosa appena fuori da plaza de la constitucion. 33 euro non è un prezzo molto economico, ma qui a malaga c'e` la feria e tutti i prezzi sono altissimi. se non avete idea di cosa sia la feria, immaginatevi una sagra di paese con bancarelle, tendoni per mangiare ogni ben di dio, giostre, pupazzi, musica, zucchero filato. poi moltiplicatelo per mille e ancora siete lontani, perchè dovete aggiungere le niñas españolas vestite da piccole ballerine di flamenco, che si aggirano tra passeggini e lecca lecca come fossero piccole principesse.


riepilogando, dopo sevilla sono andata a cadiz, in un fantastico ostello decadente che per soli 12 euro mi ha garantito un lettino, un enorme bagno degli anni '40 che serviva all'intera balconata, e quattro amici nuovi di zecca. non ho fatto in tempo a posare lo zaino in camera che ho ricevuto da davide, napoletano doc, la proposta di andare al mare insieme a tre suoi amici (che ho poi scoperto aveva conosciuto la sera prima).

quegli stessi tre amici, emil, eli e marghe, mi hanno dato un passaggio verso sud il giorno dopo e ci siamo fermati a los caños de meca, in una fantastica spiaggia vicino al faro di trafalgar. vi do un consiglio: se volete andare in spagna al mare lasciate perdere la costa del sol, e scegliete la costa de la luz. non fate l'errore di non fermarvi a los caños, un ex rifugio di hippie dove si respira ancora una certa atmosfera alternativa. se riuscite, montate una tenda tra le dune della spiaggia e passate la notte sotto la luce della luna piena. al vostro risveglio tuffatevi nel mare (nudi o con il costume, a vostra discrezione) e lasciatevi cullare dal vento e dalle onde.

proseguendo verso sud siamo finiti al camping paloma di tarifa, vicino alla grande duna che ti fa sembrare un po' in mezzo al deserto, dove un vento impossibile gettava incessantemente in faccia minuscoli granelli di sabbia. abbiamo fatto i fanghi in spiaggia, non siamo andati a dormire prima delle 7 del mattino, abbiamo conosciuto camerieri andalusi di un certo spessore folkloristico.

e l'africa e` proprio li` davanti a te, una presenza discreta e ingombrante allo stesso momento, si intravede come un ologramma quando il vento lo permette.

ieri siamo passati da gibilterra. un universo parallelo. british. davanti al marocco. scimmie in cerca di noccioline, massicci calcarei a picco sul mare, jet che partono dietro le sbarre del passaggio a livello.


ora torno nella confusione della feria. a presto queridos.


(mi scuso con quanti non ricevono risposte ai miei messaggi, ma sono in economia anche con il cellulare).

domenica 23 luglio 2006

un paio di cosucce, mentre ho la pancia gonfia di anguria e aspetto che si liberi un po' di posto per un sano gelato alla frutta, la temperatura dell'aria è di boh saranno un sacco di gradi celsius e tutto è silenzio.


da due o tre giorni vedo il mondo esterno a pixel, merito di simpatiche zanzariere aggrappate alle finestre che forse non sono così romantiche come quella dell'ikea a baldacchino sopra al letto ma mi permettono di stare al pc la sera con la finestra spalancata e, volendo, anche la lampadina accesa. non che adesso sia sera o abbia lampadine accese, ma i pixel si notano meglio di giorno.


groupie. in questi giorni mi sono chiesta se tale definizione possa essere appropriata all'attività che ho svolto da domenica a giovedì, intenta a inseguire per la penisola un certo signor bob e il carrozzone che si porta dietro da innumerevoli anni. dopo lunghe riflessioni, sono arrivata alla conclusione che no, non sono esattamente una groupie, perchè ciò comporterebbe l'aver ricambiato "in natura" certi favori e privilegi che invece non ho ancora capito perchè mi vengano accordati. fatto sta che il signor bob non me l'ha mica cantata blind willie mctell, almeno non nelle due date che ho seguito.


concerti a parte (che tanto tutti mi dicono che sono una fanatica e basta con questo booob), il peregrinare per lo stivale si è rivelato particolarmente divertente grazie alle diverse personalità di spicco che ho incontrato. non parlo di francesco rutelli e nicky vendola, rispettivamente presenti a roma e a foggia un paio di file avanti alla mia, ma di personaggi di spessore ben più elevato, che mi hanno fatto sentire a casa mia in una città dove peraltro mi sento già a casa (dovrei seriamente pensare ad un eventuale trasferimento??). lo sapete di chi sto parlando.


nonostante non mi sovvenisse all'istante il significato della misteriosa espressione "pachino", non conoscessi il prelibato estivo gusto di un sano "tropical", non riuscissi a immaginare come fosse un "caffè al ghiaccio", mi avete cullato, accompagnato, ospitato, pranzato, dormito, spetasciato, regalato, sorriso, abbracciato, gelato (con la panna gratis). 


grazie

sabato 20 maggio 2006

oltre ai grilli e ai profumi di erba tagliata, oltre alle piante che traboccano di fiori di sambuco ed al cielo carico di soffioni, mi ero dimenticata una delle trovate più meravigliose dell'estate: le lucciole. stasera camminavo inebriata dalla novità della notte tiepida e ho visto tutto ad un tratto una lucina verde che brillava per aria, seguendo rotte intricate e mutevoli, soffermandosi in prossimità di una foglia o di un muretto. l'ho seguita per un po', finchè lei è andata per la sua strada, ed io per la mia. avrei voluto prendere un vasetto di vetro e racchiuderla per farmi strada, con la sua lucina, tra i sogni di questa notte, ma ho pensato che dopotutto se ne sta meglio ad annusare l'estate che avanza ed il fresco che sale dai campi, magari insieme ad una sua amica altrettanto sbrilluccicosa.