mia nonna aveva una cugina che sessant'anni fa diventò suora ed andò in india a curare i malati.
tornava a casa una volta ogni due o tre anni, ricordo che quando ero piccola il suo ritorno era l'occasione per solenni riunioni di famiglia, con tanto di foto e pranzi al ristorante. era sempre vestita con una tonaca e il velo grigio, nei lineamenti somigliava a quella nonna che io non ho mai conosciuto, aveva una voce dolce, balbettava leggermente, sorrideva sempre, forse perchè un po' miope, e ogni tanto parlava quello strano inglese con accento indiano-brianzolo che aveva imparato per conto suo, probabilmente tenendo in braccio qualche bambino denutrito e sporco, o accarezzando la mano di qualche anziano sdentato. ci raccontava della povertà e dei tifoni che si abbattevano regolarmente su quello che era appena stato costruito: un ospedale, una scuola, delle case, per cui toccava ricostruire tutto nuovamente, e servivano soldi, aspirine, quaderni. perchè i bambini indiani che non avevano soldi per comprare i quaderni scrivevano solo con la matita e quando avevano finito il quaderno cancellavano tutto e riscrivevano sulle stesse pagine. non so se fosse solo una storiella che mi raccontava per farmi sentire fortunata.
regolarmente arrivavano a casa quelle buste per la posta aerea, fatte di carta leggerissima, bordate di rosso e blu, indirizzate a mia mamma con una calligrafia stanca di altri tempi, con una serie infinita di strani timbri e francobolli. ogni lettera era un lungo elenco di disastri, malattie, povertà, dolore, e una mesta richiesta di aiuto, soldi, soldi, soldi, per costruire, portare a termine progetti, curare. chiedeva notizie dei parenti malati, dei piccoli grandi drammi familiari che di fronte a quanto raccontava lei suonavano sempre come una sciocchezza da bambini viziati.
provavo sempre un certo imbarazzo quando, vestiti della domenica, andavamo a mangiare con lei succulenti pasti in ristoranti sciccosi. la osservavo mangiare, lei diceva di mangiare riso e lenticchie e poco altro in india, e si vedeva che era quasi disabituata a tutte le prelibatezze del cibo italiano, che assaporava con una certa soddisfazione.
raccontava che avevano bisogno di aiuto e una volta mi chiese tenendomi la mano, con semplicità e gentilezza, se non volevo andare in india con lei, diventare una suora, per aiutare lei ma soprattutto aiutare i suoi bambini, le sue mamme e i suoi vecchi, "perchè abbiamo tanto bisogno di giovani come te". mi raccontava di lunghi viaggi in aereo, in cui si imbottiva tasche nascoste sotto alla tunica di dollari in contanti, perchè era l'unico modo per portare denaro che non andasse sprecato, che venisse usato nel migliore dei modi, per comprare le medicine, le siringhe, i vaccini.
suor stefanina è morta ultra-ottantenne stamattina, la notizia si sta diffondendo con un sommesso tam tam telefonico che è arrivato fino a qui dall'india. è morta circondata dalle suore della sua congregazione che si sono prese cura di lei in questi ultimi anni in cui lei aveva perso un po' il senno e la salute, tant'è che non tornava in italia da parecchio tempo e sapevamo che non sarebbe tornata più.
era solo una piccola grande suora che ha dedicato agli altri sessant'anni della sua vita, come fanno tante piccole grandi suore in india, in italia, in africa e in america. un po' la invidio per il suo coraggio. curioso come proprio domenica scorsa mi sia capitato di pensare a lei mentre progettavo quello mi piacerebbe fosse il mio prossimo viaggio, proprio in india, possibilmente la prossima estate: più che un viaggio di piacere vorrei raccogliere il suo invito di un po' di anni fa, quando mi chiese di andare da lei, diventare come lei.
non sto pensando di diventare suora, ma sto seriamente pensando che mi piacerebbe donare un po' del mio tempo agli altri. e poi chissà, la provvidenza... suor stefanina diceva sempre così.
il suo funerale verrà celebrato nei prossimi giorni da due vescovi, uno dei quali era un bambino che lei aveva accolto nel suo orfanotrofio tanti anni fa.