martedì 30 gennaio 2007

è il suono del treno che viaggia nel buio



la complicità di qualche canzone pescata a caso dall'ipod



strane coincidenze che hanno portato la mia vita a ributtarmi sullo studio e nel nord est



l'altra sera ho avuto la sensazione chiara di sentire le onde della mia esistenza muoversi calme e piene nella percezione limpida che ho della mia situazione.



limpida la percezione, confuso il tentativo di metterla in parole.



questa felicità legata ad una malinconia dolce, a sentimenti nuovi e antichi, a desideri sempre uguali a se stessi, mai realizzati ma proprio per questo magnetici.



sono nell'anno dei ventisette, ho persino un lavoro e sottili rughe intorno agli occhi, che cerco di cancellare con cremine dai nomi fantascientifici, chissà poi perchè. mi sembra di riuscire appena a ricomporre i pezzi di un'epoca, con i suoi pittori, letterati, pensatori, e poi mi accorgo che è solo un'illusione, che la realtà è molto più complicata e inafferrabile.



ho bisogno di venezia. camminare frettolosamente nelle calli in cui si riversano gli odori, i rumori, i colori persone edifici acqua. andare a fare la spesa con il carellino, passando sotto panni stesi, vasi di gerani, girandole colorate, piccioni insopportabili.



fatico ad incastrare venezia in questa vita di oggi. vorrei incastrare troppe cose. non mi accontento. ma sono contenta.

venerdì 26 gennaio 2007

pensieri sparsi

sera nostalgica. casa per me.



vendere libri a peso. peso delle pagine di carta sottile patinata porosa ingiallita. peso dei caratteri? peso del cervello? piombo inchiostro cellulosa materia grigia illustrazioni.



venezia e ricordi che spuntano come funghi. tiziano sono anni che non ti osservo studio medito. con il tuo colore, le scuole, i teleri, la serenissima, l'acqua alta, i ponti e sottoporteghi, l'acqua calma che rimbomba coi passi.



cos'è la felicità?



cantata 147 ancora da finire, messa in si minore un rigo per pagina. voltare continuamente pagina tenere il tempo seguire le battute, alterazioni, chiavi scale tonali. un regalo inaspettato, in ritardo.



probabilmente torno a scuola, alla mia scuola, con i miei prof a cui do del tu, per il tirocinio più inutile della mia vita, ma tant'è. sarà divertente.



e tornare a scuola è anche insegnare con amore una domenica pomeriggio i rudimenti, le linee, le proporzioni, usare la parte destra del cervello. affinare la conoscenza di graffite, fusaggine, china ecoline pennello numero otto. l'odore dei pastelli. il cassetto che fatico ad aprire, che ho paura di riaprire.



ho molto da fare poco tempo per farlo. era giusto per non perdere nel calderone piccoli pensieri sparsi.

e mi scuso dell'assenza.

mercoledì 17 gennaio 2007

quando ero a scuola sognavo un lavoro che quando tornavi a casa la sera potevi fare altro e non dovevi pensare a quello.

devo aver sbagliato lavoro.

mi rituffo sulle verifiche.

martedì 16 gennaio 2007

menomale che ci pensano i miei studenti a farmi ridere...

un ragazzo di quarta dopo aver consegnato la verifica mi chiede: prof è un errore grave aver scritto POLIMERO al posto di POLITTICO??

AAAAAAAAAAHHHHHHHHHHH

ma dico io??? per chi mi hai preso??? per la prof di chimica???????

un'altra mi ha scritto che nella cupola di Santa Maria del Fiore Brunelleschi dispone i mattoni "A SCAGLIE DI PESCE". cioè. può essere che quando eri piccola eri innamorata di Sampei, ma forse pure lui ti avrebbe detto che quella tecnica costruttiva si definisce "A SPINA DI PESCE" e con le scaglie non c'entra un bel niente!!

non parliamo di "HA" con H messe a sproposito, o di una "deposizione dalla CROCIE" di Benedetto Antelami, o ancora della descrizione di una scena di "prothesis" (=adorazione del defunto) su di un'anfora funeraria, dove, a detta di una personale interpretazione, gli omini stilizzati intorno al corpo del defunto sono disegnati con le mani sul capo, "perchè sono IMPAZZITI". disperarsi va bene, ma addirittura una scena di follia generale mi sembra un tantino eccessiva...

mi ributto a capofitto a correggere. spero di trovare altre chicche

giovedì 4 gennaio 2007

non possedeva quasi niente la mia gatta vecia.

le avevamo regalato noi un paio di cestini e un collare rosso con attaccate le chiavi di casa della sua porticina privata. aveva un modesto servizio di ciotoline in plastica colorata: una per i croccantini, una per la pappa, una per il latte. non si degnava di bere acqua: solo latte fresco, appena prelevato dal frigorifero.

ultimamente era diventata una rompiscatole sorda, che miagolava a vuoto nel bel mezzo della notte, ma quando si faceva riempire di grattini dietro le orecchie e sul collo le perdonavamo tutto.

rispondeva per noi al telefono se non eravamo in casa. diceva: "sono diana, la gatta di questa famiglia. i miei padroni non sono in casa ma se lasciate a me un messaggio glielo riferirò".

ci comandava tutti a bacchetta, con quel suo fare un po' bisbetico ed allo stesso tempo da gran signora. sono certa che il pelo le ricopriva un musino ormai rugoso, vecchia micia centenaria che ci osservava con i suoi occhi grandi e scuri, vispi  e  arzilli quando si trattava di afferrare un pezzetino di  pollo, saggi e giudiziosi quando si acciambellava sul suo cuscino nell'attesa di addormentarsi.

non è rimasto quasi nulla di lei, se non un silenzio irreale interrotto dalla tentazione di chiamarla per farla salire sulla mia sedia durante la cena, quando allungava le zampine anteriori sul tavolo e reclamava la sua razione di bocconcini prelibati.

lo so, non si trattava di una persona, era soltanto una gatta.

 






diana, non mi hai aspettato. magari ti saresti addormentata più serena per l'ultima volta se ci fossi stata lì io a farti qualche grattino.