giovedì 23 luglio 2009

l'estate scivola via come io scivolo nell'acqua del lago alla ricerca di un po' di fresco. non che il caldo mi dispiaccia, anzi, gioisco alle uscite serali in canotta e sandali.

sto iniziando a meditare alla valigia, che quest'anno non dovrà superare i quindici miserrimi chili di ryan air, per quattro lunghe settimane di viaggio tra l'assolata barcellona, la piovosa santiago e il ventoso portogallo.

ho voglia di partire, di incontrare, di imparare, vedere, parlare. ma lascio a casa qualcuno che giorno dopo giorno sta diventando sempre più indispensabile. certo, ritroverò jefferson a barcellona, la mari a porto, forse rob il canadese da qualche parte a qualche punto. ma vorrei infilare in valigia una barbetta incolta con capelli lisci lunghi che incorniciano e dividono un viso carino e gentile, un sorriso timido e sincero, mani sempre impegnate a stuzzicare le mie. forse per la prima volta non sono contenta di stare lontano da casa per così tanto tempo. per fortuna che il viaggio fa cambiare la percezione del tempo, e quattro settimane sembreranno una quindicina di giorni. o forse no?

giovedì 9 luglio 2009

sto ascoltando tanta buona buonissima musica, soprattutto dal vivo.

non so se sia una cosa direttamente legata all'estate, probabilmente in estate ci sono più possibilità.

tanta, tanta musica diversa. con tante meravigliose persone, a iniziare dagli u2 a san siro due sere fa, passando per i sulutumana alla sagra di paese, senza dimenticare i cori del concorso di legnano provenienti da tutto il mondo: giappone, norvegia, cuba, inghilterra..

cosa sarebbe la mia vita senza musica? non lo dico come un'adolescente. lo dico come una quasi trentenne che si dispiace per non aver mai avuto la possibilità di impararla davvero, la musica.

come fanno le persone senza musica? ne conosco tante, che non ascoltano musica, o ascoltano una musica che è quasi spazzatura.

soprattutto, non è esattamente la stessa cosa ascoltarla con un paio di cuffie, o sentirla in una meravigliosa chiesa affrescata nel cinquecento, con gli armonici che riempiono lo spazio e si scontrano con le pareti e le volte, si infrangono contro le colonne o girano intorno creando eco meravigliose, arrivando alle orecchie degli ascoltatori tra scricchiolii di panche, colpi di tosse e fruscii di vestiti.

non è esattamente la stessa cosa ascoltarla da un asettico cd o immersi in uno stadio con settantasettemila persone che cantano all'unisono la stessa melodia, con a fianco qualcuno che entra nello stesso vortice di suoni, di luci, di brividi in cui sei tu.