martedì 7 febbraio 2017

trattori e nasi lunghi

Subito dopo pranzo, quando il tempo lo consente, porto Agata a fare una passeggiata con la carrozzina con la speranza che questo mi aiuti a eliminare i chili di troppo che continuano a essere sei, fissi da dopo il parto. Scelgo le ore più tiepide della giornata, il che vuol dire pranzare (prima il latte per lei, poi il cibo per me) non oltre l'una e uscire di casa intorno all'una e mezza. 
Il giro ormai collaudato è andare da casa mia fino a casa dei miei genitori ed eventualmente allungarlo accompagnata da mio papà e dal cane Giotto fino a Pomelasca, una ridente località di campagna al confine tra tre paesi adiacenti, in cui i conti Sormani possiedono (ancora per poco, dato che l'hanno messa in vendita), una meravigliosa villa ottocentesca dotata di palme nella facciata rivolta a sud, con annesse cascine, terreni e soprattutto una chiesetta in mattoni rossi fiancheggiata da un pino marittimo che si staglia sullo sfondo delle Prealpi brianzole. Si tratta di un'icona del mio paesello ripresa su tutte le cartoline (mi sono sempre chiesta chi mandasse cartoline da qui, ma soprattutto mi chiedo se esistano ancora le cartoline) e su innumerevoli fotografie di compaesani e turistelli in giro per la passeggiata domenicale. 
Nonostante la stagione non sia tra le migliori, c'è sempre un nutrito gruppo di signori con rispettivi cagnolini che si radunano nei pressi di una piccola edicola con una Madonnina non troppo lontana dalla chiesetta in mattoni, scambiano due chiacchiere al sole e interagiscono con il vecchio contadino che una volta curava tutti i campi intorno e ancora adesso si sente giustamente un po' il padrone della tenuta mentre si aggira con il bastone e la pancia enorme.  
Oggi c'era un altro contadino, un signore simpaticissimo con meravigliosi occhi azzurro ghiaccio, anche lui di una certa età, alle prese con la pulizia dei rami più bassi degli alberi che portano alla chiesetta, dove in quaresima si celebrerà la via Crucis. Mi ha raccontato che il prete gli ha chiesto di fare un po' di pulizia del verde, così ha parcheggiato il suo trattore oltre gli alberi e si è messo a lavorare di buona lena. 
Tutto orgoglioso mi ha detto che il trattore ha compiuto 63 anni; io l'ho guardato e in effetti sembrava uscito da uno di quei film ambientati durante la seconda guerra mondiale. Non ho avuto il coraggio di sfoderare il cellulare e fotografarlo, mi è sembrata una cosa così anacronistica... Questo nella foto è simile. Appartiene ai conti, lui lo ha sempre tenuto bene, ha i suoi acciacchi ma lo ha sempre riparato. Si chiede cosa succederà quando venderanno la villa. Verde scuro, con ruote enormi e parafanghi stondati come una Pontiac del '53, lo usa da sempre, perché lui fa il contadino da quando era bambino e abitava nella bergamasca, poi è venuto qui in Brianza e ha continuato a fare il contadino. Ha imparato da suo papà, che gli ha spiegato quando e come tagliare l'erba dei prati per farne il fieno: il primo taglio si fa intorno al dieci maggio, ma non se piove o se è prevista pioggia, altrimenti il fieno si rovina! Poi ce ne sono altri due durante l'anno, mi ha anche detto i nomi in dialetto, ma me li sono già dimenticati. Quando il contadino ha guardato la bimba mi ha raccontato che lui ha il naso lungo perché la sua nipotina, che adesso ne ha undici di anni, continuava a prenderglielo con le mani e a tirarlo quando era piccola come Agata. Poi mi ha salutato dicendo che questi bambini sono una benedizione e si è rimesso a radunare i rami tagliati. 


domenica 29 gennaio 2017

riprese

Il blog.
Questo strumento obsoleto e fuori moda che qualche anno fa era LO strumento.

Non so esattamente cosa mi abbia guidato sino a qui, fatto sta che rileggermi saltellando qua e là per i miei anni venti (e inizio trenta) mi ha fatto prudere le dita e le ha indirizzate sulla tastiera del mio Macbook nuovo fiammante, su cui rimbalzano amabilmente mentre le parole mi singhiozzano per la testa.

Non so bene di cosa scrivere. Forse è semplicemente una disabitudine al formulare pensieri più lunghi di poche parole per accompagnare una foto o un video su Facebook. Tutta colpa di Facebook. E degli Smartphone. Dove, per carità, grazie alla funzione di dettatura i messaggi inviati tramite WhatsApp diventano piuttosto lunghi senza troppo sforzo, ma non possono raggiungere lo scopo di un diario che chissà chi leggerà dopo anni di totale inutilizzo.

E poi per dire cosa? Parlare di me nel vento? Tra poco compirò trentasette anni suonati, un po' troppi per perdere tempo rincorrendo le parole. Tuttavia quando mi rileggo trovo i miei scritti così indispensabili, e così vivi. Mi tornano in mente i tempi che furono, che tutto sommato non sono così distanti, eppure mentre la vita si accumula sulla strada che mi lascio alle spalle sembra diminuire le distanze. Se penso alla mia adolescenza, ogni anno - quello dei quindici e poi quello dei sedici, e quello dei diciassette e infine dei diciotto - mi sembrava unico, tendente all'infinito, così pieno e ricco. Poi, ad un certo punto sul finire dei venti, mi sono ritrovata a trentasei anni suonati, con un marito, una figlia (eh sì, una figlia, anche se di soli quattro mesi!) e il tempo che corre sempre più veloce.

Impossibile che quel taglio drastico dei capelli sia stato già due anni fa! Incredibile come il pancione in cui per nove mesi ho portato Agata sia cosa dell'anno passato. Inaccettabile che l'ultimo vero viaggio extra europeo risalga al giro in Thailandia del 2013. Che detto in questo modo mi fa pensare che dopotutto sono passati solo tre anni e qualche mese, ma nei ricordi mi sembra di dover pescare molto più indietro, in una sorta di preistoria della mia vita da adulta. Come se la gravidanza mi avesse fatto saltare a piè pari un intero ciclo di stagioni: inverno, primavera, estate, autunno. Volatilizzate, tra cambiamenti lavorativi, chili accumulati, bruciori di stomaco e curiosità per una nuova vita che pian piano si faceva spazio nella mia pancia, prima ancora che nella mia testa.

Certo non è solo colpa della gravidanza se tutto si è accelerato. Probabilmente è così che succede a tutti una volta terminata quella fase che si chiama "giovinezza" e si entra finalmente nell'età adulta. Il mezzo del cammin di nostra vita. Ricordo ancora quando la prof di lettere al liceo ci ha detto che Dante ne aveva trentacinque di anni. Quasi un vecchio per la diciassettenne di terza liceo che la ascoltava rapita.

Mi vedranno così i miei futuri alunni: ormai non posso più giocare a fare la prof giovane anche se ci sono prof molto più vecchi di me. La distanza si nota eccome, almeno in termini di gusti musicali e di abitudini "sociali". Snapchat e Ed Sheeran, sbocciare (non di fiore ma di bottiglie) e BFF. Questo è quanto sono riuscita a carpire dai discorsi dei ragazzi al di fuori delle interrogazioni su Michelangelo e compagnia bella, ma sono sicura di essere già rimasta indietro, non fosse altro che tra astensione obbligatoria per maternità e vacanze estive la mia routine quotidiana si è pesantemente modificata negli ultimi sei mesi e non frequento più quindicenni se non in rarissime occasioni. Ma ben presto ricomincerò a farlo e non vedo l'ora!

Sono forse una madre degenere? Ultimamente me lo chiedo spesso, paragonandomi ad altre mamme che conosco. Ma non potrei comportarmi altrimenti, anche se quattro mesi fa quella piccola creatura ha fatto irruzione nella mia vita nel momento in cui me l'hanno appoggiata sul cuore ancora umida e urlante e l'ha cambiata per sempre.