giovedì 5 aprile 2012

cose di altri tempi


una vecchia del secolo passato, ecco cosa sono. almeno stando agli sguardi increduli di una mia classe di alunni (ok, prevalentemente alunne) che per il matrimonio ha regalato a me e al mio maritino un coupon per un weekend romantico. lo abbiamo sfruttato a inizio marzo, scegliendo come destinazione il pistoiese tra piccoli borghi e città meno impegnative di firenze, lucca o pisa.
fin qui, niente di strano.
il problema è che ieri mattina, in classe, ho finalmente portato le foto da mostrare in classe con il videoproiettore. so che non è una lezione di storia dell'arte propriamente ortodossa ma cosa c'è di meglio se non far vedere che la materia che insegni è la tua passione anche in privato? poco importa se ogni tanto, tra le foto, ci scappa quella del marito che si mette in pose plastiche davanti a un protiro romanico, o della moglie-prof che fa facce buffe a imitazione dei mostriciattoli onnipresenti sui capitelli.
anche questo però non dovrebbe destare alcuno scandalo. i miei alunni mi conoscono e sanno che a volte sono poco ligia al mio ruolo di docente, come quando in gita canto le sigle dei cartoni animati al microfono del bus o improvviso un forte accento russo mentre spiego le cupole del cremlino.
in alcune di queste foto però compariva ogni tanto una terza persona oltre a me e al mio maritino, e mi sono sentita in dovere di spiegare ai ragazzi chi fosse: il mio primo amore a distanza dei tempi del liceo, massimo, che ho rivisto proprio durante questo weekend dopo anni che ci sentivamo solo per via telematica. lui è di fucecchio, amico del mare di amici, e la scintilla era scoccata durante una vacanza sulla neve con l'oratorio, probabilmente durante la seconda superiore. ovviamente è finita come finiscono tutte le storie adolescenziali a distanza: con un lento e progressivo spegnersi della scintilla che ha però lasciato una tenerezza e un affetto che ancora oggi passano nei sempre più rari abbracci non virtuali (basti dire che l'ultima volta che ci eravamo visti era stato in occasione della mia festa di laurea).
ovviamente la popolazione femminile della classe si è messa a fare risolini e urlettini quando ho raccontato che quel ragazzo (forse loro lo vedono come "signore") ritratto a fianco di mio marito era l'amore dei tempi del liceo della loro professoressa. deve essere sembrato piuttosto strano che non si prendessero a botte in preda ad attacchi di gelosia postuma o retroattiva (a seconda dei punti di vista). il parallelo con loro era troppo stretto! ragazzine di diciassette anni che come me allora si struggono d'amore per una storia impossibile.
ma quello che le ha lasciate davvero interdette è stato raccontare come io e lui ci tenevamo in contatto e ovviavamo alla distanza così mastodontica: la corrispondenza per lettere cartacee e le sporadiche telefonate dalla cabina, con la tessera da 5000 lire che si esauriva nel giro di pochi minuti. non l'avessi mai detto!
insomma, devono avermi visto come uno di quegli scheletri di dinosauri appesi al soffitto del museo di storia naturale di milano.
alunna n.1 (tipa pratica): "prof, ma quanto tempo ci voleva perchè arrivasse una lettera?"
prof: "considerato che non c'era ancora la posta prioritaria, almeno tre o quattro giorni".
alunna n. 2 (tipa molto simpatica): "ma prof ma lei avrà fatto il liceo quindici anni fa, non sono mica passati secoli!"
prof: "eh ragazzi non me lo ricordate! 
alunna n. 3 (tipa sensibile): "ma allora quando noi siamo nate lei era come noi adesso!"
prof: lacrimuccia
alunna n.4 (tipa tecnologica): "ma internet non c'era ancora?? ma non ci credo!"
prof: "io ho iniziato a avere internet quando ero in quinta liceo"
alunna n. 5 (tipa incredula): "ma non esistevano i cellulari??"
alunna n. 6 (tipa ricca): "prof io mi ricordo che mio papà aveva un cellulare ma era grossissimo!"
prof: silenzio


mercoledì 28 marzo 2012

Москва

è una tradizione che in tempo di viaggio questo blog diventi un po' la mia casa mobile a cui affidare tutti i souvenir immateriali collezionati nei vagabondaggi. questa volta è il turno di mosca, e si tratta di un turno particolarmente rigido e provante: le piante fiorite in italia si possono vedere solo nei grandi magazzini ГУМ sottoforma di fittizio arredo pseudoprimaverile in plastica e tessuto che rallegra il cuore pur non scaldandolo tra una boutique di alberta ferretti e una pasticceria italiana per ricchi. 
incredibile come la storia del novecento sia più volte passata da qui, e come, nonostante la dittatura, rimanga ancora moltissimo del comunismo più comunista che ci si può immaginare, a partire innanzitutto dal vuoto onnipresente che fa a pugni con la decorazione, la ricchezza, l'estro della creatività russa. vuoto di idee, vuoto di memoria, vuoto di chiese e di edifici antichi, vuoto di alberghi-caserme che lasciano una voragine. vuoto che è una presenza poco indiscreta, vuoto che è un'assenza ingombrante.
il vuoto nella piazza rossa, che vuol dire innanzitutto piazza bella, sembra meno vuoto perchè intorno ci sono meravigliosi edifici, palazzi, porte, chiese, che hanno segnato la storia della russia e non solo di mosca. il pieno è fatto delle persone, di questi russi che hanno proprio la faccia da russi, gli abiti da russi, i modi da russi. i russi con il colbacco in pelliccia, le russe con la pelliccia col tacco, i foulard intorno alla testa a coprire le pettinature anni ottanta, come se dai tempi di lenin non fossero passati i tempi e la metropolitana lucida, marmorea, curata, con l'inevitabile imperfezione o trasandate nella perfetta trascuratezza. un po' est, un po' ovest, come il megastore di giocattoli di marca (da hello kitty a lego, da mio minipony ai peluches trudy) dirimpettaio del supermercato con gli scaffali mezzi vuoti, in cui i prodotti non bastano a esaurire lo spazio e il senso di carestia mai sopito di chi non ha potuto possedere, comprare, guadagnare per decenni. 

giovedì 9 febbraio 2012

spose di altri secoli

da piccola dicevo che mi sarei sposata in pantaloni, e non ricordo quando ho cambiato idea a tale proposito. devo aver pensato per un po' - ma non per molto - che non mi sarei mai sposata, probabilmente intorno alla crisi adolescenziale in cui ero brutta, grassa e secchia: un trinomio da mandare in crisi anche la più solida ragazza. quando però mi è capitato di innamorarmi, solitamente di persone che non facevano parte della cerchia di amici del mio paesello ma abitavano almeno a più di 100 km di distanza, devo aver ripreso ad immaginare il mio matrimonio, anche se non saprei dire se con gonna o pantaloni. forse non era la cerimonia in sè ad attirarmi, quanto la possibilità di avere qualcuno tutto mio a cui telefonare spendendo paghette settimanali in schede da cinquemila lire oppure mandare lettere cartacee lunghe pagine e pagine di struggimenti.  sta di fatto che, quando mi sono innamorata dell'hippie californiano intorno ai diciannove - venti anni, ero certa che nonostante l'oceano atlantico che ci separava lo avrei sposato. il matrimonio sarebbe stato su una spiaggia con i piedi nudi nella sabbia e un baldacchino intrecciato di fiori, mentre una brezza spirava al tramonto e tutti applaudivano commossi sulle note di una chitarra acustica come nella scena più kitsch di una commedia romantica anni '90. il vestito immaginario ovviamente era provvisto di gonna lunga un po' pizzosa perchè, anche se adoravo i pantaloni a zampa, erano un capo di vestiario ancora piuttosto introvabile a quel tempo, che non possedevo e non sapevo neanche dove andare a comprare (maledetti anni '90!). naturalmente avrei portato fiori nei capelli: del resto, if you go to san francisco, make sure you wear some flowers in your hair (e non importa che, invece di san francisco, il californiano abitasse a laguna beach). lui non ricordo quale mise portasse nel sogno ad occhi aperti, ma non credo di essermela mai immaginata nel dettaglio.
passata la cotta, altre cotte (e storie ben più importanti di una cotta) si sono aggiunte, eppure il vestito immaginato aveva perso una forma definita, forse perchè vedevo il matrimonio come un traguardo lontano e irraggiungibile, comunque successivo ad altri traguardi in cui sfoggiare altri vestiti. ad esempio quello per la laurea: un incubo trovarlo a luglio, a fine saldi, quando tutti i negozi del mondo sembravano sprovvisti di una cosa elegante ma non troppo, che non tradisse il mio spirito e allo stesso tempo facesse intendere che ero proprio io quella che si laureava quel giorno.
finchè un bel giorno è arrivata la certezza di aver trovato proprio un lui con cui passare la vita insieme, con cui arredare una casa e con cui condividere tutto, compreso naturalmente il sogno del vestito che però avrebbe visto solo quel giorno, senza ottenere alcuna anticipazione. è così che ho obbligato la cugina quasi sorella maggiore ad un tour de force alla ricerca del vestito perfetto, talmente perfetto che esisteva solo nella mia mente modellata da anni di storia dell'arte rinascimentale, cecilie gallerani e fanciulle altere con pettinature complicate che sfoggiano tagli antichi di preziosi broccati. avessi potuto fare un salto nella capitale della moda italiana del '400 (che per la cronaca è la stessa di oggi) probabilmente non avrei dovuto trascinarla da una boutique all'altra della brianza, del comasco e del lecchese, ma avrei subito trovato un modello soddisfacente. magari  non sarebbe stato adatto al caldo appiccicoso del sedici luglio, visto il numero di strati di cui sono solitamente composti i vestiti di altri tempi. chiaramente i fiori nei capelli mi erano rimasti come chiodo fisso, e fortuna vuole che mia nonna, intorno al 1930, si sia sposata con una coroncina di fiorellini realizzati in cera e stoffa, preziosamente conservata da mia madre fino a quel momento per una nuova sposa di un nuovo secolo.
e veniamo ai giorni nostri, o meglio all'incirca un anno fa, quando ho commissionato l'abito a un piccolo atelier che li faceva su misura, lasciandomi scegliere taglio, stoffe, dettagli. diciamo che il risultato è stato più che soddisfacente, tenendo presente il mio fisico non proprio da cecilia, l'assenza dell'ermellino e degli stivali da cow boy con cui mi avevano immaginato le mie alunne. ed è un peccato (ma anche una magia) pensare che dopo averlo messo per un giorno soltanto ora riposi in una scatola sotto al letto, in attesa - forse - di un'altra sposa in un altro secolo. 







lunedì 6 febbraio 2012

la madonna in campagna

la madonna va in campagna. così almeno la interpreta una mia alunna guardando un bellini di straordinaria bellezza, con la vergine e il bambino seduti in mezzo al prato e una serie di simboli sparsi intorno sul bene che trionfa sul male, appesa in una bella sala della national gallery di londra.


vorrei tanto che il bene trionfasse sempre sul male, eppure ultimamente sembra sempre più difficile. guardando la madonna in campagna tutto sembra così ovvio, naturale, anche se atroce, dato che quel bambino lì deve passare dalla morte che il suo sonno cerca di preannunciare all'occhio attento di chi osserva.
è così facile far vincere il male, gridando e scagliando pietre a destra e a sinistra su chi guida una nave verso gli scogli, su chi aumenta il prezzo della benzina, su chi non la pensa come noi. io credo che sia tutta colpa di maria de filippi, come dico sempre ai miei alunni.

venerdì 27 gennaio 2012

trasloco

e chi l'avrebbe mai detto che sarei riuscita a non perdere sei anni di parole scritte? appena portate qui da splinder, hanno trovato una casa accogliente nonostante il trasloco non sia stato così intuitivo. ma la rete è fonte infinita di soluzioni. e google ci dà una mano.
chissà che questo cambiamento non mi faccia tornare la voglia di scrivere per il piacere di farlo.. ultimamente smanetto parecchio tra sito del discanto e le lezioni di arte in inglese. sto anche trovando un certo agio nell'organizzare le giornate, il che mi lascia tempo di dedicarmi all'arte culinaria, la mia passione più recente (o meglio, a lungo assopita) :)
urge riprendere la bicicletta, non appena il tempo sarà più clemente!