è una tradizione che in tempo di viaggio questo blog diventi un po' la mia casa mobile a cui affidare tutti i souvenir immateriali collezionati nei vagabondaggi. questa volta è il turno di mosca, e si tratta di un turno particolarmente rigido e provante: le piante fiorite in italia si possono vedere solo nei grandi magazzini ГУМ sottoforma di fittizio arredo pseudoprimaverile in plastica e tessuto che rallegra il cuore pur non scaldandolo tra una boutique di alberta ferretti e una pasticceria italiana per ricchi.
incredibile come la storia del novecento sia più volte passata da qui, e come, nonostante la dittatura, rimanga ancora moltissimo del comunismo più comunista che ci si può immaginare, a partire innanzitutto dal vuoto onnipresente che fa a pugni con la decorazione, la ricchezza, l'estro della creatività russa. vuoto di idee, vuoto di memoria, vuoto di chiese e di edifici antichi, vuoto di alberghi-caserme che lasciano una voragine. vuoto che è una presenza poco indiscreta, vuoto che è un'assenza ingombrante.
il vuoto nella piazza rossa, che vuol dire innanzitutto piazza bella, sembra meno vuoto perchè intorno ci sono meravigliosi edifici, palazzi, porte, chiese, che hanno segnato la storia della russia e non solo di mosca. il pieno è fatto delle persone, di questi russi che hanno proprio la faccia da russi, gli abiti da russi, i modi da russi. i russi con il colbacco in pelliccia, le russe con la pelliccia col tacco, i foulard intorno alla testa a coprire le pettinature anni ottanta, come se dai tempi di lenin non fossero passati i tempi e la metropolitana lucida, marmorea, curata, con l'inevitabile imperfezione o trasandate nella perfetta trascuratezza. un po' est, un po' ovest, come il megastore di giocattoli di marca (da hello kitty a lego, da mio minipony ai peluches trudy) dirimpettaio del supermercato con gli scaffali mezzi vuoti, in cui i prodotti non bastano a esaurire lo spazio e il senso di carestia mai sopito di chi non ha potuto possedere, comprare, guadagnare per decenni.
incredibile come la storia del novecento sia più volte passata da qui, e come, nonostante la dittatura, rimanga ancora moltissimo del comunismo più comunista che ci si può immaginare, a partire innanzitutto dal vuoto onnipresente che fa a pugni con la decorazione, la ricchezza, l'estro della creatività russa. vuoto di idee, vuoto di memoria, vuoto di chiese e di edifici antichi, vuoto di alberghi-caserme che lasciano una voragine. vuoto che è una presenza poco indiscreta, vuoto che è un'assenza ingombrante.
il vuoto nella piazza rossa, che vuol dire innanzitutto piazza bella, sembra meno vuoto perchè intorno ci sono meravigliosi edifici, palazzi, porte, chiese, che hanno segnato la storia della russia e non solo di mosca. il pieno è fatto delle persone, di questi russi che hanno proprio la faccia da russi, gli abiti da russi, i modi da russi. i russi con il colbacco in pelliccia, le russe con la pelliccia col tacco, i foulard intorno alla testa a coprire le pettinature anni ottanta, come se dai tempi di lenin non fossero passati i tempi e la metropolitana lucida, marmorea, curata, con l'inevitabile imperfezione o trasandate nella perfetta trascuratezza. un po' est, un po' ovest, come il megastore di giocattoli di marca (da hello kitty a lego, da mio minipony ai peluches trudy) dirimpettaio del supermercato con gli scaffali mezzi vuoti, in cui i prodotti non bastano a esaurire lo spazio e il senso di carestia mai sopito di chi non ha potuto possedere, comprare, guadagnare per decenni.
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